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Monster: La storia di Ed Gein – Ryan Murphy torna a riscrivere l’orrore dell’America profonda

Per gli irriducibili del true crime e gli adepti dell’horror, la terza stagione dell’antologia Monster di Ryan Murphy e Ian Brennan non è una semplice serie, ma un pellegrinaggio nelle fondamenta più putride della cultura pop. Dopo aver vivisezionato l’orrore moderno con Jeffrey Dahmer, Netflix ci riporta alle origini del Male Americano con Monster: La storia di Ed Gein, disponibile dal 3 ottobre, un’opera che non si limita a riesumare la cronaca nera, ma ne analizza la trasmutazione in archetipo mostruoso. Siamo nelle gelide e silenziose distese rurali del Wisconsin anni Cinquanta. Qui, in una fattoria isolata vicino a Plainfield, vive Edward Theodore Gein, l’uomo gentile e dallo sguardo vacuo destinato a diventare il “Macellaio di Plainfield”, un nome che evoca la solitudine distorta che ha generato il più influente serial killer della storia. Murphy e Brennan non narrano solo gli omicidi, ma la vera e propria nascita del mostro culturale che Gein incarna, una figura la cui ombra si allunga sui decenni successivi.

La Casa degli Orrori e la Macabra Eredità

Quando, nel 1957, la polizia fece irruzione nella sua dimora, non trovò la scena di un crimine convenzionale, ma un autentico museo dell’orrore artigianale: teschi utilizzati come ciotole, sedie rivestite di pelle umana e maschere grottesche cucite con i volti delle vittime. Sebbene solo due omicidi, quelli di Mary Hogan e Bernice Worden, siano stati accertati, la lista delle sue profanazioni di tombe e dei feticci macabri realizzati con resti umani è incalcolabile. Gein, il cui orrore affonda le radici nella necrofilia e in un culto materno ossessivo, ha trasformato la follia domestica in una materia prima inestimabile per l’immaginario collettivo.

È da questa materia primordiale che sono emersi i mostri iconici del cinema horror: il voyeurismo disturbato di Norman Bates in Psycho, la ferocia cannibale di Leatherface in Non aprite quella porta, e la brama patologica di pelle umana di Buffalo Bill ne Il silenzio degli innocenti. La serie, con intelligenza meta-cinematografica, riconosce questa discendenza, arrivando a includere Tom Hollander nei panni di Alfred Hitchcock e i camei di Anthony Perkins e Tobe Hooper, suggerendo esplicitamente che senza Gein, l’horror come lo conosciamo oggi non esisterebbe.

Il Volto del Male e la Tirannia Materna

A dare corpo al paradosso di un assassino che è vittima di sé stesso, troviamo un magnetico Charlie Hunnam, noto per Sons of Anarchy, il quale, con i suoi occhi chiari e un’espressione di intrinseca fragilità, ritrae l’uomo schiacciato dalla sua stessa patologia. Al suo fianco, Laurie Metcalf è una Augusta Gein straordinaria e terrificante, l’incarnazione della repressione puritana e del fanatismo religioso dell’America rurale postbellica, una madre ossessiva che dominava l’esistenza del figlio predicendogli l’eterna dannazione.

Attraverso un mosaico narrativo che alterna il presente degli omicidi ai flashback sull’infanzia di Ed, la serie illumina la genesi della follia. L’isolamento e il terrore religioso imposti da Augusta creano una psiche fratturata: alla sua morte, il desiderio sessuale represso di Gein si fonde con il senso di colpa, e l’atto di “ricreare” la madre con i corpi delle donne riesumate o uccise diventa il suo unico e disperato esorcismo della solitudine.

La Provocazione Meta-Narrativa di Murphy

Monster: La storia di Ed Gein non è un semplice biopic criminale, ma una profonda riflessione sul voyeurismo morboso che circonda il true crime. Murphy non si limita a mostrare l’orrore, ma costringe lo spettatore a interrogarsi sul proprio irresistibile fascino per il Male. La serie analizza come la vicenda Gein, amplificata dai media degli anni Cinquanta, si sia trasformata in un’ossessione estetica e narrativa. Il pubblico, desideroso di guardare e di “entrare” nella fattoria degli orrori, diventa, di fatto, complice in questo processo di spettacolarizzazione.

La regia elegante crea un’atmosfera volutamente ipnotica e claustrofobica, più vicina a un incubo che a un thriller. Le scene all’interno della casa di Gein sono avvolte da una luce lattiginosa e spettrale, e la colonna sonora alterna silenzi assordanti a litanie religiose che echeggiano come un inferno domestico.

Questo capitolo della saga Monster è il più concettualmente denso, sfidando lo spettatore a distinguere tra empatia e voyeurismo. Gein, l’uomo che ispirò Hollywood, torna a essere un personaggio costruito da Hollywood, in un circolo vizioso in cui la verità si dissolve nella narrazione. Ryan Murphy ci lancia la sua provocazione più tagliente: senza Ed Gein, l’horror non esisterebbe, ma se ne siamo ancora ossessionati, forse il vero mostro è sempre stato un riflesso della nostra stessa, insaziabile curiosità. La serie è un’esperienza visiva disturbante che inquieta e seduce, lasciandoci soli davanti allo schermo, incapaci di distogliere lo sguardo, proprio come gli abitanti di Plainfield davanti a quella decrepita fattoria. Ed è in questa incapacità che risiede il segreto del suo fascino eterno.

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