Nel cuore della lunga carriera di Milo Manara, “H.P. e Giuseppe Bergman” emerge come una delle sue opere più emblematiche, un lavoro che il fumettista considera non solo il più rappresentativo del suo pensiero e della sua arte, ma anche il più personale. La riedizione di questo fumetto, che inaugura la saga di Giuseppe Bergman, è una storia che rappresenta un punto di svolta nella carriera dell’autore. Non è un caso che Manara abbia scelto proprio questo titolo per lanciare la serie “Biblioteca Manara”, che, in occasione dei suoi ottant’anni nel 2025, riporta in libreria uno dei suoi capolavori più amati, fresco e ancora sorprendentemente attuale, nonostante sia stato scritto e disegnato nel 1978.
In una riflessione più profonda sulla sua opera, Manara ha più volte sottolineato che “H.P. e Giuseppe Bergman” è il fumetto che più di tutti incarna la sua visione del mondo, la sua ricerca di un senso più profondo oltre la superficie della vita quotidiana. E in effetti, se c’è qualcosa che colpisce immediatamente nel protagonista Giuseppe Bergman, è proprio questa sua esigenza di sfuggire alla banalità dell’esistenza, di rifiutare la staticità della routine per lanciarsi in una serie di avventure straordinarie. C’è un elemento che travalica il semplice desiderio di evasione: in Bergman c’è la ricerca di una vera e propria rivoluzione, un cambiamento radicale che sfida il mondo come lo conosciamo.
Questo desiderio di cambiamento è alimentato da una figura che rappresenta per Manara stesso una sorta di mentore: H.P., un personaggio che non solo porta le iniziali di Hugo Pratt, ma anche un po’ del suo spirito, una figura saggia e misteriosa che spinge Bergman a partire, a lasciarsi alle spalle la sua vita ordinaria per lanciarsi in un viaggio senza ritorno, un viaggio che attraversa luoghi esotici e lontani, come l’Amazzonia, l’Africa e l’Oriente. La scelta di Pratt come coprotagonista non è casuale: il grande maestro del fumetto e mentore di Manara ha avuto una grande influenza sul suo percorso artistico, e qui, attraverso la figura di H.P., si fa sentire forte e chiara. È lui che dà il via a quella che sarà una serie di avventure che sfidano la percezione della realtà, che portano Giuseppe in un mondo fatto di sorprese, pericoli e scoperte che sembrano non finire mai.
La storia, che già nei suoi primi passi può sembrare una riflessione sulla smania tipica dei giovani di fuggire, di cercare l’avventura e il paradiso in luoghi lontani, si rivela ben presto una satira tagliente, un gioco intelligente sul nostro desiderio di cercare in altri luoghi quello che ci manca, senza renderci conto che spesso le risposte non si trovano fuori da noi, ma dentro la nostra vita quotidiana. La vena ironica di Manara emerge in tutto il suo splendore: il fumetto si sviluppa come una commedia paradossale in cui Giuseppe Bergman, dopo aver ottenuto l’opportunità di una vita grazie a un misterioso produttore, si rende conto che le sue avventure, lungi dall’essere il paradiso tanto sognato, sono anzi fonte di continue difficoltà e ostacoli.
Manara, tuttavia, non rinuncia mai alla sua dimensione ludica ed esperimentale. “H.P. e Giuseppe Bergman” è un fumetto che lascia ampio spazio alla fantasia, un’opera dove il racconto si sviluppa liberamente, con un ritmo che sembra non fermarsi mai, che spinge il lettore a seguirlo in scenari lontani e affascinanti, descritti da punti di vista inediti, spesso inaspettati. Il fumetto si distingue anche per l’abilità con cui Manara crea personaggi femminili che, pur non essendo mai il centro della narrazione, aggiungono un pizzico di sensualità alla storia, mantenendo sempre intatta l’intensità emotiva e l’equilibrio fra l’aspetto avventuroso e quello intimo.
Ciò che rende “H.P. e Giuseppe Bergman” un’opera ancora oggi incredibilmente attuale è proprio la sua capacità di anticipare temi che, purtroppo, sono ancora oggi validi. La storia di Bergman e del suo viaggio attraverso il mondo non è solo un’avventura straordinaria, ma anche una riflessione sul nostro desiderio di evadere, di cercare un senso più profondo nelle cose, ma anche sulle difficoltà e le frustrazioni che derivano da una ricerca che spesso non porta alle risposte che speravamo. La metafora dell’avventura, del viaggio come esperienza che ci cambia, diventa una riflessione universale sulla vita stessa.
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