Nel panorama del cinema d’autore contemporaneo, pochi registi sanno trasformare la storia in un’epopea cinematografica capace di scavare nell’anima collettiva come Lav Diaz. E ora, con Magellan, il maestro filippino ci guida in un viaggio ambizioso, affascinante e doloroso nei meandri del colonialismo, dell’identità e del mito dell’esplorazione. Presentato in anteprima mondiale nella sezione Cannes Premiere del Festival di Cannes 2025, Magellan è un’opera monumentale, recitata in portoghese e spagnolo, che vede protagonista il carismatico Gael García Bernal nei panni dell’iconico esploratore portoghese Ferdinando Magellano.
Un tempo eroe scolastico, Magellano è oggi al centro di una rilettura più complessa e critica della storia, e Lav Diaz si assume la responsabilità — e l’audacia — di raccontarla non più dal punto di vista dei conquistatori europei, ma da quello delle terre e dei popoli colonizzati. È la prima volta che un’opera cinematografica di questa portata tenta davvero di mostrare cosa accadde, nel cuore del XVI secolo, quando le flotte occidentali arrivarono nelle Filippine con la croce in una mano e la spada nell’altra.
Un’avventura epica dai toni oscuri
Magellan non è il classico film d’avventura. Non c’è nulla di romantico nel viaggio che Diaz mette in scena. Fin dalle prime sequenze, lo spettatore è immerso in un mondo crudo e autentico, dove le promesse di gloria si scontrano con la realtà della fame, della ribellione e della disillusione. Magellano, interpretato da un intenso García Bernal, non è l’eroe glorioso delle cronache europee, ma un uomo tormentato, accecato dall’ambizione e progressivamente consumato da un delirio di potere e conversione religiosa.
Dopo essersi ribellato al rifiuto del re del Portogallo, Magellano ottiene il sostegno della Corona spagnola per intraprendere la spedizione verso le “Indie”. Ma il viaggio, come ogni odissea degna di questo nome, si rivela ben presto un inferno. La ciurma, afflitta dalla fame e dalla fatica, sfiora il collasso e le tensioni sfociano in moti di ammutinamento. E quando finalmente la flotta raggiunge le isole del sud-est asiatico, il sogno di scoperta si trasforma in un incubo coloniale.
Magellano, ormai prigioniero della sua stessa ossessione, cerca di imporre la sua visione religiosa e politica alle popolazioni locali. Le conseguenze sono devastanti. Uprisings, tradimenti, e un’escalation di violenza che culmina nella celebre — e tragica — morte dell’esploratore sulla spiaggia di Mactan, per mano del leggendario Lapu-Lapu.
Una produzione internazionale, una visione autoriale
Il progetto nasce da un’intuizione profonda: quella di Lav Diaz di voler raccontare non solo l’epopea dell’uomo Magellano, ma anche quella delle sue vittime, dei popoli travolti dal vortice della colonizzazione. Inizialmente concepito con il titolo Beatriz, The Wife, il film doveva esplorare la figura di Beatriz Barbosa de Magallanes, moglie di Magellano, sposata due anni prima della partenza del navigatore. Una prospettiva femminile che, come rivelato, sarà invece protagonista di un secondo film — attualmente in fase di post-produzione — che offrirà una visione complementare della stessa vicenda, in un montaggio titanico da ben nove ore.
Prodotto dalla portoghese Rosa Filmes in collaborazione con case di produzione spagnole, filippine, francesi e taiwanesi, Magellan è un progetto autenticamente internazionale. Le riprese si sono svolte tra le località filippine di Sampaloc e Mauban, per poi spostarsi nel sud del Portogallo e a Cadice, in Spagna, dove è stata utilizzata anche una replica della celebre nave Victoria.
La fotografia è affidata a due nomi noti del cinema d’autore: Arthur Tort, fedele collaboratore di Albert Serra, e Larry Manda, storico direttore della fotografia di Lav Diaz. Il risultato visivo è un racconto che non ha bisogno di effetti digitali per colpire: bastano la luce naturale, il ritmo contemplativo e le inquadrature lunghissime a rendere ogni fotogramma una tela intrisa di storia, silenzi e tensione.
Un’interpretazione magistrale e una riflessione necessaria
Gael García Bernal, che negli ultimi anni ha dimostrato di saper oscillare tra blockbuster e film d’autore con estrema versatilità, firma una delle sue performance più intense. Il suo Magellano è un uomo in bilico tra genio e follia, mosso da una brama di riconoscimento e grandezza che finisce per distruggerlo. Ma attorno a lui si muove un cast internazionale di grande spessore: da Roger Alan Koza nel ruolo di Afonso de Albuquerque, ad Ângela Ramos nei panni di Beatriz, fino ai talenti filippini come Ronnie Lazaro e Bong Cabrera, che incarnano le figure chiave dei sovrani locali.
Il vero colpo di scena però è l’inclusione del personaggio di Enrique, interpretato da Amado Arjay Babon. Considerato da molti storici come il primo uomo ad aver circumnavigato il globo, Enrique — schiavo malese di Magellano — diventa simbolo di una storia più ampia, quella dei popoli colonizzati che oggi, attraverso opere come questa, iniziano finalmente a riprendersi la propria narrazione.
Verso una nuova epica cinematografica
Con Magellan, Lav Diaz non solo ci regala un’opera poderosa e affascinante, ma rilancia il cinema storico verso nuove direzioni. Non si tratta solo di rivisitare il passato, ma di riscriverlo con occhi nuovi, offrendo spazio alle voci rimaste troppo a lungo inascoltate. La colonizzazione, con le sue promesse di gloria e le sue devastanti conseguenze, viene qui messa a nudo con una lucidità che non concede scorciatoie romantiche.
E mentre aspettiamo con curiosità e un pizzico di timore reverenziale l’arrivo del secondo capitolo di questo progetto (che promette di essere una maratona emozionale lunga nove ore), non possiamo che riflettere su quanto il cinema possa ancora scuotere le coscienze, raccontare storie necessarie e dare dignità alle verità sepolte.
E voi, cosa ne pensate di questa nuova interpretazione della figura di Magellano? Vi affascina l’idea di un’epopea raccontata dal punto di vista dei popoli colonizzati? Avete già messo Magellan nella vostra lista dei film da vedere? Fatecelo sapere nei commenti qui sotto e, se l’articolo vi è piaciuto, condividetelo sui vostri social per far viaggiare insieme a noi anche questa storia oltre le colonne d’Ercole!
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