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Love on Trial: il nuovo film di Kôji Fukada che smaschera il lato oscuro dell’industria idol giapponese

Ci sono film che non si limitano a raccontare una storia: scoperchiano un mondo. Lo osservano, lo interrogano, lo mettono a nudo. E quando a farlo è un regista come Kôji Fukada, con la sua delicatezza chirurgica e il suo sguardo empatico ma impietoso, il risultato non può che essere un’opera che rimane addosso. Love on Trial, presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes 2025, è proprio questo tipo di film. Un pugno nello stomaco che arriva con la grazia di un sussurro. Un racconto d’amore che si trasforma in atto d’accusa. Un dramma intimo che scardina un intero sistema. Chi conosce il cinema d’autore giapponese sa bene che Fukada non è nuovo a queste operazioni. Lo ha fatto con Harmonium, indagando il dolore familiare, e con Love Life, esplorando la perdita e la comunicazione. Ma con Love on Trial si addentra in un terreno minato e culturalmente esplosivo: l’industria delle idol giapponesi, quel mondo patinato, regolato da una disciplina quasi militare, dove le emozioni vere sono l’unico elemento davvero proibito.

Il film segue la parabola tragica di Mai, interpretata con intensità e vulnerabilità disarmante dalla giovane Kyoko Saito. Mai è una J-Pop idol in ascesa, un volto perfetto incastonato in un sistema che costruisce icone da adorare ma non da conoscere. È l’incarnazione di un ideale di purezza che il pubblico idol brama, idolatra, consuma. Ma quando si innamora, qualcosa si spezza. Non solo nel suo cuore, ma nell’intero ingranaggio che regola la sua esistenza. La sua agenzia la cita in giudizio per aver violato il contratto che le impone di rimanere sentimentalmente neutra, castamente disponibile solo nell’immaginario dei fan. Inizia così un processo non solo giuridico, ma pubblico, sociale, culturale. La giovane Mai diventa un simbolo, suo malgrado, del prezzo che si paga per essere un’icona.

Guardando Love on Trial non si può non provare rabbia. Ma è una rabbia sussurrata, che cresce scena dopo scena. Fukada non urla, non esagera. Si muove con passo leggero anche mentre smaschera la brutalità del sistema. La regia è sobria, i toni controllati, le emozioni filtrate attraverso silenzi eloquenti e sguardi che dicono molto più delle parole. Il film non ha bisogno di enfatizzare per scuotere. Basta osservare, con dolorosa lucidità, quello che accade quando una giovane donna decide di rivendicare la propria umanità in un ambiente che gliela nega sistematicamente.

L’aspetto più inquietante è che Love on Trial non nasce dalla fantasia di uno sceneggiatore particolarmente cinico, ma dalla realtà. Fukada si è ispirato a due casi giudiziari reali avvenuti in Giappone, in cui delle idol sono state trascinate in tribunale per aver avuto relazioni sentimentali. In uno di questi casi, il tribunale ha riconosciuto l’assurdità della clausola contrattuale che vietava l’amore. Ma nell’altro, ha vinto l’agenzia. Una schizofrenia giuridica che riflette una società ancora profondamente divisa tra modernità e conservatorismo, tra emancipazione e controllo patriarcale.

Eppure Fukada non si lascia andare al moralismo. Il suo sguardo resta empatico anche nei confronti di un pubblico che alimenta questo sistema, spesso inconsapevolmente. Love on Trial non vuole demonizzare, ma aprire una fessura nella superficie levigata del mondo idol, per farci vedere cosa c’è sotto. Perché dietro ogni uniforme perfettamente stirata, ogni sorriso programmato, ogni esibizione studiata nei minimi dettagli, ci sono esseri umani. Ragazze che sognano, amano, soffrono. E a volte, semplicemente, vogliono essere libere.

Accanto a Mai c’è Keisuke, interpretato con una dolcezza spiazzante da Yuki Kura. È il ragazzo che ha osato amarla, che non si piega alla logica del profitto e che sceglie di stare al suo fianco anche quando tutto sembra perduto. La loro storia diventa allora un gesto rivoluzionario, un grido silenzioso che attraversa le aule dei tribunali e arriva fino a noi spettatori. Perché non è solo la libertà di amare ad essere in discussione, ma il diritto stesso a esistere al di fuori dell’immagine che gli altri hanno costruito su di noi.

Love on Trial è anche un film sull’identità, sulla tensione tra ciò che siamo e ciò che dobbiamo apparire. E in questo, tocca corde universali. Non bisogna essere fan del J-Pop per sentirsi coinvolti. Basta aver mai sentito il peso di aspettative che ci definiscono, o il bisogno di liberarsi da una maschera che non ci appartiene più. Il messaggio del film risuona forte e chiaro anche lontano dal Giappone, anche per chi non ha mai sentito una canzone idol in vita sua.

Visivamente sobrio ma carico di significati, il film trova nella fotografia e nella colonna sonora un equilibrio perfetto tra delicatezza e inquietudine. Mai non è solo una vittima, è una combattente silenziosa. La sua ribellione è fatta di sguardi, di scelte, di parole dette con la voce tremante. Ma è anche, e soprattutto, un atto di resistenza contro una cultura che troppo spesso confonde l’innocenza con l’assenza di desideri.

Prodotto dalla celebre Toho e coprodotto da Survivance, Love on Trial sarà distribuito nelle sale giapponesi dal 22 maggio 2025. Dopo la calorosa accoglienza ricevuta a Cannes, è destinato a lasciare il segno anche nel circuito dei festival internazionali. Perché il coraggio di Fukada sta nel raccontare una storia profondamente giapponese, ma con un linguaggio capace di parlare al mondo.

In un tempo in cui ogni emozione viene mercificata e ogni fragilità trasformata in contenuto, questo film ci chiede una cosa semplice e rivoluzionaria: fermarci. Guardare. Ascoltare. Ricordarci che dietro ogni immagine c’è una persona. E che nessun sogno, per quanto affascinante, dovrebbe mai costare la libertà di essere se stessi.

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Redazione

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