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Il Futuro di Kathleen Kennedy alla Lucasfilm: Tra Successi e cantonate stellari

“Non mi ritirerò mai dal cinema. Morirò facendo film.”

Quando ho letto queste parole di Kathleen Kennedy, non ho potuto fare a meno di provare un brivido. Non solo per la loro potenza, ma per il coraggio e la determinazione che trasmettono. Da donna, da fan, da amante di Star Wars, sento il bisogno di difendere e, al contempo, comprendere una figura così discussa, così centrale eppure tanto fraintesa.

Kathleen Kennedy non è solo una produttrice. È un pilastro, una forza creativa che ha segnato la mia vita più di quanto avrei mai potuto immaginare. Quando da bambina sognavo a occhi aperti guardando le astronavi sfrecciare nel cielo di Tatooine o immaginavo me stessa combattere con una spada laser, non sapevo ancora che dietro quelle storie c’era anche il lavoro instancabile di una donna come lei. E ora che sono adulta, ora che ho capito quanto sia raro vedere donne in ruoli di leadership nell’industria cinematografica – e ancor più nel genere fantascientifico – la sua figura mi appare ancora più luminosa.

È vero, il fandom è diviso. Lo è sempre stato. Ma essere divisi non significa essere ciechi. È facile salire sul carro delle critiche, accusare Kennedy di ogni difetto narrativo, di ogni fallimento commerciale, di ogni virgola fuori posto. Ma quanto è difficile, invece, riconoscere ciò che ha fatto di straordinario?

Ha raccolto l’eredità di George Lucas, un compito che avrebbe fatto tremare le mani anche al più esperto dei produttori. E lo ha fatto con una visione ben chiara: portare Star Wars in una nuova era, aprendolo a un pubblico più ampio, più giovane, più diverso. Ha avuto il coraggio di osare, di raccontare storie nuove, di inserire voci femminili forti – da Rey a Jyn Erso, da Ahsoka a Hera Syndulla. Sono personaggi che hanno parlato a me, e a tante altre come me. Non perfetti, certo, ma veri, fragili, determinati.

Sotto la sua guida sono nati capolavori come Rogue One, che considero uno dei film più intensi e maturi dell’intera saga, e serie come The Mandalorian o Andor, che hanno ridefinito lo storytelling televisivo nel contesto di Star Wars. Certo, ci sono state anche ombre: The Rise of Skywalker mi ha lasciata confusa, The Book of Boba Fett è stato altalenante, e Obi-Wan Kenobi mi ha spezzato il cuore per quello che poteva essere e non è stato. Ma chi osa non sbaglia mai?

E ora, mentre si rincorrono le voci di un suo imminente addio, mentre giornalisti e insider si affannano a predire la data esatta della sua uscita, io mi fermo a riflettere: cosa stiamo davvero perdendo, se davvero Kathleen Kennedy dovesse lasciare la guida della Lucasfilm? Perché per me non è solo una questione di leadership. È una questione di identità.

Kennedy rappresenta una visione in cui credo: quella di un cinema aperto, inclusivo, in continua evoluzione. Se davvero passerà il testimone, spero che lo faccia in modo consapevole, accompagnando la nuova generazione e lasciando una traccia indelebile nel cuore del franchise. Forse Dave Filoni, con la sua anima da fan e narratore, sarà all’altezza. Forse Carrie Beck porterà nuova sensibilità. Forse Kevin Feige aprirà un crossover di idee e mondi. Ma nessuno, davvero nessuno, potrà essere Kathleen Kennedy.

Perché io non dimenticherò mai che è stata una donna a prendere in mano la galassia più amata della storia e a farla brillare di una nuova luce. Che ha saputo dire “no” quando tutti volevano il “sì” facile, che ha saputo resistere all’odio online, agli insulti, ai paragoni, ai pregiudizi. E che, con ogni decisione, giusta o sbagliata che fosse, ha messo il cuore.

In fondo, non è forse questo lo spirito della Forza? Non arrendersi, credere nel bene, rialzarsi anche dopo la caduta. Forse Kathleen Kennedy non è un Jedi. Ma per me, resterà sempre una Maestra.

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