Mentre il mondo trattiene il fiato e i telegiornali impazzano con breaking news e dichiarazioni al vetriolo, siamo testimoni di un nuovo, tragico capitolo della storia contemporanea: gli Stati Uniti hanno appena bombardato tre siti nucleari in Iran. Le parole usate dai leader mondiali riecheggiano i fantasmi della Guerra Fredda: Donald Trump minaccia una “tragedia” se non si raggiunge la pace, Teheran risponde con un secco “È guerra”. L’eco di questo scambio rimbalza da un capo all’altro del globo, mentre Israele si dice più sicura e gli Stati Uniti celebrano i propri “grandi guerrieri”. Ma dietro queste dichiarazioni, dietro le mappe strategiche e le analisi geopolitiche, rimane un mistero: l’Iran, una nazione che conosciamo troppo poco, e troppo spesso solo attraverso la lente deformante della cronaca internazionale.
Eppure, l’Iran non è solo la teocrazia dell’ayatollah o il Paese isolato dalle sanzioni. L’Iran è l’erede diretto dell’antica Persia, una civiltà millenaria che affonda le radici in un passato ricco di cultura, arte, poesia, filosofia e leggende. Un tempo, questo Paese fu il cuore pulsante del primo vero impero globale della storia: l’Impero achemenide, fondato nel 550 a.C. da Ciro il Grande, un sovrano che viene ricordato per la sua tolleranza, la sua visione e la sua abilità politica.
Prima ancora, in quelle terre abitavano civiltà straordinarie come gli Elamiti, pionieri di scrittura e architettura, e i Medi, con la loro capitale Ecbatana, citata persino nei testi biblici. Dopo Ciro, fu Dario il Grande a consolidare l’Impero, costruendo la leggendaria Persepoli e gettando le basi di un’amministrazione che comprendeva quasi la metà della popolazione mondiale di allora. I persiani crearono un servizio postale efficiente, strade imperiali, e imposero l’aramaico come lingua franca. Furono gli architetti di una civiltà multiculturale e tollerante, di cui ancora oggi possiamo ammirare le tracce nella lingua, nell’arte e nelle leggende.
Il nome stesso del Paese – Iran – deriva da “terra degli ariani”, condividendo una comune radice linguistica con parole e popoli apparentemente lontani, come gli irlandesi. Infatti, il persiano, l’hindi, il latino, il greco, l’italiano e l’inglese derivano tutti da una lingua madre: il protoindoeuropeo. Le somiglianze tra parole come “padre” (padar in persiano), “madre” (madar) e “figlia” (dochtar) sono testimoni silenziosi di un passato comune che unisce l’Iran all’Europa e al subcontinente indiano.
La religione predominante in Iran è l’Islam sciita, professato dal 90% della popolazione musulmana. Questo lo distingue nettamente dal resto del mondo islamico, a maggioranza sunnita. Ma ci sono anche minoranze religiose come cristiani, zoroastriani ed ebrei, che godono di una certa libertà di culto e addirittura di rappresentanza politica. Un retaggio della lunga storia di pluralismo culturale del Paese.
L’Iran moderno, pur segnato da una rivoluzione teocratica nel 1979 e da numerosi attriti con l’Occidente, continua a essere una nazione multietnica. Il 51% degli iraniani sono persiani, ma ci sono anche azeri, curdi, baluci, turcomanni, e tanti altri. Fino al periodo Pahlavi, l’Iran era un mosaico etnico armonico, una sorta di impero sovra-etnico dove il persiano era solo una delle tante voci.
In questo intricato passato si inserisce anche la spiritualità antica dello Zoroastrismo, con la sua cosmologia dualistica dominata dalla lotta eterna tra Ormazd, il dio della luce, e Ahriman, spirito del male e del caos. Leggende come quella del Simurgh, l’uccello mitico che porta saggezza e guarigione, e gli eroi del “Shahnameh” come Rostam, costruiscono un pantheon mitologico che nulla ha da invidiare a quello greco o nordico. Il “Libro dei Re” è un vero e proprio poema epico che mescola mito e storia, ed è parte integrante dell’identità culturale iraniana.
L’arte persiana è ancora oggi viva e pulsante. Lo dimostrano artisti come Shirin Neshat o Parastou Forouhar, e il grande fermento nel cinema, che ha dato i natali a registi come Abbas Kiarostami e Asghar Farhadi. La letteratura persiana ha ispirato Goethe, Emerson e tanti altri, mentre la cucina iraniana, ricca di spezie e profumi, fa venire l’acquolina solo a pensarci: riso, zafferano, pistacchi, melograni, yogurt e pane cotto nei forni di argilla sono i veri protagonisti di un patrimonio gastronomico unico.
E poi ci sono le tradizioni: matrimoni dove simboli ancestrali si intrecciano a rituali moderni, giardini che sono riflessi del paradiso, case da tè dove il tempo sembra fermarsi tra un sorso di chai e una boccata di narghilè. Lo sport nazionale? Il polo, ovviamente, inventato proprio qui. E le donne, spesso dipinte dall’Occidente come oppresse, ma in realtà protagoniste assolute della vita culturale, scientifica e politica del Paese, come dimostra l’esempio della matematica Maryam Mirzakhani, prima donna a vincere la medaglia Fields.
In questo momento storico, l’Iran torna al centro della scena globale, ma lo fa spesso solo come antagonista nei titoli dei giornali. Eppure è molto, molto di più. È una terra di poesia e di filosofia, di arte e di scienza, di resistenza e di sogni. Una terra che conosce il dolore della guerra ma non ha mai smesso di scrivere, cantare, cucinare e sognare.
Conoscere l’Iran, oggi più che mai, non è solo una questione culturale: è un atto di resistenza contro la banalizzazione, è un modo per restituire umanità a un popolo che la geopolitica spesso riduce a pedina. Lasciatevi affascinare, studiate le sue storie, cercate le sue voci. E se potete, visitatelo. Perché solo conoscendo davvero l’Iran, potremo sperare di comprendere quello che sta accadendo.
Aggiungi commento