Nel panorama sempre più affollato dei thriller letterari contemporanei, pochi autori sono riusciti a conquistare il cuore dei lettori nerd e appassionati di arte, simbologia e storia come Dan Brown. Il suo romanzo Inferno rappresenta la sesta opera dell’autore e, più significativamente, il quarto capitolo dell’epopea dedicata al professore di simbologia Robert Langdon. Con Inferno, Brown alza ulteriormente la posta, tessendo una trama densa di enigmi, inseguimenti mozzafiato e riferimenti culturali profondi, mentre getta i suoi personaggi nel labirintico e incandescente paesaggio concettuale dell’omonima cantica dantesca.
Il romanzo si apre con un’immagine potentissima, quasi cinematografica: un uomo si lancia dal campanile della Badia Fiorentina, nel cuore pulsante di Firenze, per sfuggire a un’implacabile caccia. È l’inizio di un viaggio che condurrà Langdon attraverso un’Europa gotica e carica di simboli, nel tentativo di impedire una catastrofe globale. Ma Langdon, risvegliatosi in un ospedale fiorentino con una ferita alla testa e una memoria a brandelli, è tanto prigioniero degli eventi quanto il lettore stesso: ignaro, confuso, disorientato.
Accanto a lui, la brillante dottoressa Sienna Brooks, figura enigmatica e ambigua, che lo aiuterà a fuggire da una spietata killer e da forze governative misteriose. Inizia così una corsa contro il tempo, in cui Langdon scopre nella sua giacca una capsula biotecnologica contenente la “Mappa dell’Inferno” di Sandro Botticelli, ispirata ai versi di Dante Alighieri. È il primo tassello di una complessa caccia agli indizi, disseminata tra le pieghe della Divina Commedia, che porta i due protagonisti a scandagliare le viscere artistiche e architettoniche dell’Italia rinascimentale.
Ma non è tutto oro quel che luccica, né tutto ciò che Brown descrive è filologicamente e storicamente corretto. Se da un lato Inferno affascina con la sua trama intricata, l’uso dei codici danteschi e le ambientazioni maestose, dall’altro si fa portavoce di una serie di inesattezze che non sfuggono all’occhio attento dei veri cultori dell’arte e della storia.
La maschera funebre di Dante Alighieri, per esempio, ricopre un ruolo centrale nella narrazione. Langdon la considera autentica, spiegando in dettaglio il processo di creazione tramite applicazione diretta del gesso sul volto del defunto poeta. Tuttavia, si tratta di una licenza narrativa: nessuna delle maschere mortuarie conosciute di Dante è autentica. Quella conservata a Palazzo Vecchio, per esempio, fu realizzata tra il 1915 e il 1920, ben lontana dunque dall’epoca del Sommo Poeta.
Il viaggio attraverso il Corridoio Vasariano è un altro esempio di libertà narrativa. Langdon e Sienna lo percorrono da Boboli a Palazzo Vecchio, ma Brown omette completamente i dettagli pratici di questo tragitto: come hanno attraversato gli Uffizi? Come hanno aperto le porte che li separano dalla galleria? A queste domande il testo non risponde, lasciando un senso di sospensione logistica che stride con l’estremo realismo con cui vengono descritti altri luoghi.
Nel Salone dei Cinquecento, poi, viene menzionata una passerella sospesa che permetterebbe ai visitatori di avvicinarsi alle capriate: essa esiste davvero, ma si interrompe ben prima della metà del soffitto. Allo stesso modo, nella descrizione della Visione dell’Inferno di Botticelli, Langdon individua dettagli finissimi come espressioni facciali e posizioni delle mani tra i dannati: un’operazione visivamente impossibile, dato che le figure nella stampa originale sono minuscole e i dettagli, perlopiù, indistinguibili.
Gli errori non si fermano in Toscana. Quando la trama si sposta a Venezia, i problemi aumentano. Il Campanile di San Marco viene descritto come visibile da qualunque punto della città, mentre in realtà si vede chiaramente solo da luoghi molto specifici. Brown scrive anche di “asfalto” a piazza San Marco, che in realtà è lastricata sin dal XIII secolo, e immagina una cripta sotto la Basilica che, per motivi idrogeologici, non può esistere nei termini descritti, tanto meno con pozzi di aerazione e finestre aperte verso l’esterno.
Non mancano sviste toponomastiche: la Fondamenta Vin Castello, da cui Sienna fugge in un capitolo, è un nome errato. Riva del Vin esiste, sì, ma è ben distante da quanto descritto. Inoltre, a Venezia non esistono marciapiedi nel senso urbano del termine: le fondamenta sono spazi pedonali, ma non hanno le caratteristiche tipiche delle città di terraferma.
Queste imprecisioni, per quanto possano infastidire il lettore più attento, non riescono comunque a oscurare il nucleo pulsante del romanzo: la riflessione sul destino dell’umanità. Al centro della narrazione c’è Bertrand Zobrist, uno scienziato ossessionato da Dante e dalla sovrappopolazione. La sua creazione, un virus misterioso, non è un’arma di distruzione di massa, ma un agente genetico che sterilizza un terzo della popolazione mondiale. È qui che la tensione narrativa si fonde con un dilemma etico di proporzioni globali: è lecito salvare il pianeta con un atto di ingegneria genetica così radicale?
Quando Langdon, dopo mille colpi di scena, arriva finalmente a Istanbul per fermare l’apocalisse annunciata, scopre che è troppo tardi. Il virus è stato già diffuso. Ma anziché la fine del mondo, è l’inizio di una nuova era. Il Consortium, l’organizzazione segreta che aveva orchestrato la perdita di memoria di Langdon, viene smantellato. Sienna ottiene l’amnistia e decide di lavorare con l’Organizzazione Mondiale della Sanità per gestire le conseguenze del virus. Langdon, infine, torna a Firenze, con lo sguardo rivolto all’umanità che cambia – e forse, proprio per questo, rinasce.
Inferno è, insomma, un’opera densa e appassionata, che mescola simbolismo medievale e biotecnologia futuristica, etica globale e arte immortale. Sebbene costellato di errori storici e geografici, resta un affascinante labirinto per chi ama perdersi nei meandri della cultura pop colta, quella che guarda a Dante e a Botticelli come a bussole per orientarsi nel presente. Un romanzo perfetto per chi vuole sentirsi, almeno per qualche ora, dentro una caccia al tesoro culturale degna dei migliori videogiochi d’avventura o delle escape room più elaborate. Un romanzo, in definitiva, che parla al cuore di ogni nerd con il pallino per l’arte, la storia… e l’inferno.
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