C’è qualcosa di disarmante e prezioso in Incanto, l’opera prima di Pier Paolo Paganelli, che al suo debutto nel lungometraggio ci regala una favola moderna dalle tinte gotiche, una storia che profuma di polvere da circo, di infanzia violata e di magia salvifica. Presentato fuori concorso al BIF&ST 2025, il film è un piccolo miracolo di immaginazione italiana, una produzione che osa esplorare un linguaggio visivo e narrativo che solitamente associamo più al cinema d’animazione o ai grandi live-action internazionali per famiglie.
E invece no. Questa volta è tutta farina del nostro sacco, ed è bello così.
Una fiaba nera dai contorni luminosi
La storia, narrata con il tono lieve e struggente delle vecchie leggende, si apre con una morte: Ludovico (Andrea Bosca), padre devoto ma condannato, affida la figlia Margot – interpretata con straordinaria delicatezza dalla giovane Mia McGovern Zaini – alla fredda e spietata governante Felicia, una Vittoria Puccini mai vista così cattiva. Anzi, diciamolo chiaramente: deliziosamente perfida. Una villain da manuale, tra la matrigna di Cenerentola e una Crudelia De Mon in versione gotica, capace di rubare la scena e i cuori per quanto è… detestabile.
Felicia, anziché trasformare la villa di famiglia in un orfanotrofio gioioso – come desiderato dal defunto Ludovico – la trasforma in una prigione silenziosa, dove Margot viene rinchiusa, ignorata, spezzata nel cuore. A darle man forte c’è Max (Claudio Gregori, alias Greg), un complice ambiguo, apparentemente goffo ma visceralmente avido.
Ma proprio quando la disperazione sembra totale, arriva il vero incanto.
Il tendone magico e il potere della gentilezza
Una notte, Margot fugge nel bosco. È un momento visivamente potente, curato con una fotografia suggestiva da Martina Cocco, che gioca con ombre e luci come fossero strumenti di un’orchestra emotiva. Ed è nel cuore di quella notte che Margot si imbatte in un circo. Non un circo qualsiasi, ma uno magico, che pare uscito da un sogno a occhi aperti, sospeso tra realtà e fantasia. È qui che conosce Charlie, il clown bianco, interpretato da un sorprendente Giorgio Panariello, lontano anni luce dal comico televisivo che tutti conosciamo.
Charlie è un personaggio scritto addosso a Panariello, che ne coglie l’essenza malinconica e il mistero. Vive con una maschera, letteralmente e metaforicamente, e rappresenta l’umanità ferita che però sceglie la luce. Panariello ha dichiarato che solo pochissimi registi hanno avuto il coraggio di vederlo per quello che è: un interprete capace di delicatezza, profondità, empatia. E qui ci riesce, lasciando il segno.
Il circo diventa quindi la nuova casa di Margot. Un luogo dove il tempo si ferma, le parole tornano, le ferite iniziano a rimarginarsi. Un microcosmo sgangherato ma accogliente, che ricorda le atmosfere di Big Fish o La strada di Fellini, mescolando realismo e meraviglia con un equilibrio fragile ma riuscito.
Il ritorno della fiaba, tra bene e male
Pier Paolo Paganelli costruisce una narrazione semplice ma simbolica, dove il Bene e il Male sono netti ma mai banali. La scelta di non redimere Felicia – come ha sottolineato la stessa Puccini – è coraggiosa: il film rifiuta la retorica del “cattivo che in fondo ha sofferto” e la presenta per quella che è. Una donna accecata dal potere, disposta a tutto pur di ottenere ciò che vuole. E proprio per questo così terribilmente attuale.
La messa in scena, con la scenografia curata da Federico Costantini e i costumi sognanti di Nicoletta Taranta, amplifica la dimensione da fiaba gotica. Il montaggio di Manuel Grieco segue il ritmo del cuore, alternando tensione e poesia con fluidità, mentre la colonna sonora di Stefano Ratchev e Mattia Carratello fa da tappeto emotivo, discreta ma incisiva.
Una scommessa italiana che vale il prezzo del biglietto
Incanto non è solo un film per ragazzi. È una favola che parla anche agli adulti, a chi ha dimenticato il potere dell’immaginazione, a chi ha bisogno di un pizzico di magia per ricordarsi di guardare il mondo con occhi diversi. Non è perfetto – a tratti l’equilibrio tra dramma e incanto vacilla – ma ha cuore, ambizione e un’estetica personale che merita attenzione.
Non c’entra niente con Encanto della Disney, nonostante il titolo inganni. Incanto è profondamente italiano, nella sua malinconia, nella sua bellezza discreta, nella sua voglia di riscattare il cinema di genere dalle secche del minimalismo a tutti i costi.
Dal 3 luglio sarà nelle sale, distribuito da Adler Entertainment. E noi vi consigliamo caldamente di farci un salto. Perché ogni tanto, per sopravvivere alla realtà, serve ricordarsi che i circhi esistono. E che sotto il tendone della vita, la magia è ancora possibile.
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