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I nomi nell’Antica Roma

Ai tempi del primo re di Roma, ogni persona (perlomeno se maschio) aveva solo il “nome di battesimo”. Gli esperti di onomastica definiscono questo sistema “uninominale”. I successivi re di Roma di nomi invece ne avevano due: Numa Pompilio, Tullio Ostilio e così via: i Romani avevano importato dai Sabini il sistema binominale, composto da un nome proprio e da quello della gens di appartenenza, chiamato in gergo tecnico “nome gentilizio”.
 
Nella successiva storia dell’Urbe i nomi delle personalità più eminenti acquisiscono un terzo e, a volte, un quarto elemento, come nel caso di Caio Giulio Cesare o di Publio Cornelio Scipione “Africano”. Man mano che Roma cresce, le cose si fanno più difficili. I nomi gentilizi sono pochi e tradizionalmente. all’interno della stessa gens, si usa scegliere i nomi di battesimo a partire da un elenco assai ristretto. Le omonimie, di conseguenza, sono all’ordine del giorno. Nel 46 a.C., in occasione del censimento della popolazione, la Lex Iulia municipalis rende obbligatorio il sistema dei “tria nomina”.
 
 
Nel sistema dei tre nomi, ogni persona è identificata attraverso tre elementi: praenomen, nomen e cognomen. Il praenomen è personale, viene attribuito ai soli maschi esattamente nove giorni dopo la nascita e viene ufficializzato con la maggiore età. Spesso padre e figlio condividono il medesimo praenomen. Il nomen è acquisito per eredità da uomini e donne, e designa la gens di appartenenza (nomen gentilicium). La gens è un insieme di famiglie o, per meglio dire, di stirpi. Per differenziarle, al nomen viene aggiunto un cognomen, che accomuna tutti i membri appartenenti a un ramo di quella gens. Nella gens Giulia, una stirpe adottò ben prima della nascita di Caio Giulio, il cognomen “Cesare”. Spesso il cognomen nasce da un soprannome attribuito alla persona: Agricola (contadino) Ahenobarbus (dalla barba fulva) Balbus (balbuziente) e così via. Un antenato di Marco Tullio doveva avere un’escrescenza sul viso simile ad un cecio, e per questo venne chiamato Cicero, cognomen che caratterizzò tutti i suoi discendenti. Il cognomen infatti, veniva conservato anche dagli eredi di colui al quale era stato originariamente attribuito. Un altro esempio lo offre la gens Cornelia, articolata in molte famiglie plebee (Cornelii Dolabellae, Cornelii Lentuli, Cornelii Cethegi, Cornelii Cinnae) e nobili (Cornelii Rufini, Cornelii Scipiones, Cornelii Sullae).
 
Ai tria nomina si può aggiungere un supernomen, talvolta acquisito ex virtute, ossia sulla base delle imprese compiute. L’esempio classico è Publio Scipione della gens Cornelia, che dopo la vittoria su Annibale nel 202 a.C. adottò il nome “Africano”. Qesto cognomen però non fu ereditato dai suoi discendenti. Il supernomen con cui entrò nella storia Marco Porcio Catone Uticense, gli derivò da Utica, luogo dove trovò la morte per non essersi arreso alle truppe di Cesare. In caso di adozione, l’adottato assumeva i tria nomina dell’adottante insieme ad un supernomen, detto agnomen, costruito sulla base del suo nome gentilizio originario seguito dal suffisso “-anus”: è il caso di Gaius Iulius Caesar Ottavianus per Augusto, appartenente alla gens Ottavia e adottato da Giulio Cesare.
 
Il discorso era molto diverso per le femmine dato che non avevano un nome proprio. Cornelia, la famosa madre dei Gracchi o Claudia Pulchra suonano come nomi propri, ma in realtà erano nomen gentilizi declinati al femminile. Solo nella tarda Repubblica le donne poterono adottare sia il cognome del padre sia quello del marito declinato al genitivo; un “genitivo di appartenenza” come direbbero i grammatici. Il sistema dei tria nomina mutò a partire dal III secolo d.C. cominciando dai ceti più bassi; prima con la perdita del praenomen e poi del nomen, fino ad arrivare, attorno al V secolo, al nomen unicum, che solo nel caso dei nobili era anteposto ad un cognome.
 
Redazione

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