Se c’è una cosa che amo da morire negli anime fantasy, è quando mi sorprendono. Non parlo delle sorprese a effetto, dei colpi di scena buttati lì solo per far parlare, ma di quelle storie che partono in punta di piedi e, puntata dopo puntata, riescono a conquistarti con la forza dei sentimenti, della coerenza narrativa e di personaggi che sembrano respirare davvero. I Left My A-Rank Party to Help My Former Students Reach the Dungeon Depths! – lo so, il titolo è un chilometro, ma vi giuro che vale ogni sillaba – è stata una di quelle esperienze.
Quando è uscito, a inizio 2025, ammetto di averlo preso sottogamba. Troppi anime nella stessa stagione, troppi isekai tutti uguali che si rubano la scena a vicenda. Eppure qualcosa mi ha spinta a cliccare play. Forse il character design elegante, forse il fascino strano di quel titolo lunghissimo, forse la voglia di qualcosa che parlasse di crescita, fallimenti e seconde possibilità. Fatto sta che sono entrata nel dungeon con Yuke e il party Clover… e non ne sono più uscita.
La prima stagione di questo anime prodotto da Bandai Namco Pictures è stata, per me, una sorpresa continua. Non tanto per i combattimenti, pur ben coreografati e visivamente appaganti, quanto per la delicatezza con cui riesce a raccontare le dinamiche emotive dei suoi personaggi. Yuke Feldio, il protagonista, non è il solito eroe muscoloso e invincibile. È un mago rosso, una classe spesso relegata ai margini, e infatti viene trattato come un peso morto dal suo precedente party, Thunder Pike. Dopo cinque anni passati a subire frecciatine, umiliazioni e la totale mancanza di rispetto da parte dei suoi compagni, decide di dire basta. E qui inizia la vera storia.
Yuke non cade nel cliché del vendicatore solitario, né si trasforma all’improvviso in un Dio della guerra. Semplicemente sceglie di voltare pagina. E lo fa nel modo più bello possibile: accettando di guidare un nuovo gruppo formato da tre sue ex allieve, Marina, Silk e Rain. Ragazze che lo rispettano, che credono in lui, che hanno bisogno della sua guida per affrontare insieme i dungeon più pericolosi. Il nome del nuovo party, “Clover”, non è casuale. Quattro foglie, quattro cuori uniti in una causa comune. E quel legame, credetemi, è il vero fulcro emotivo dell’anime.
Quello che ho adorato di questa serie è la sua capacità di mescolare generi e toni senza mai perdere il controllo. Si passa con naturalezza da momenti leggeri e quasi da slice of life – le chiacchiere tra ragazze, gli allenamenti, gli imbarazzi romantici – a scene cariche di tensione e dramma puro, come l’agguato di Thunder Pike, le missioni al limite della sopravvivenza o gli scontri con creature che sembrano uscite da un sogno febbrile. Ma soprattutto, l’anime ha il coraggio di esplorare il trauma e la crescita personale senza retorica, mostrando come ogni personaggio abbia delle ferite da rimarginare. Silk, ad esempio, è molto più di una ranger dark elf tutta frecciate e sguardi taglienti: è una ragazza che lotta con la fiducia, con la solitudine, con un’identità a metà tra il clan e l’amicizia. Marina è forte e determinata, ma sotto quell’armatura da spadaccina c’è un bisogno viscerale di dimostrare il proprio valore. E Rain, tenera e apparentemente fragile, rivela presto una forza interiore commovente.
Yuke cresce insieme a loro, non sopra di loro. Non è il maestro onnisciente, ma un uomo che ha tanto da imparare quanto da insegnare. Le sue scelte non sono sempre perfette, ma sono sempre umane. E quando, nella seconda parte della stagione, la narrazione si sposta nella misteriosa città-dungeon di Duna, colpita da un effetto allucinatorio che altera la percezione e la realtà stessa, la storia prende una piega ancora più intensa e affascinante. Là, dentro quel labirinto surreale, il party si confronta con le proprie paure più profonde, mettendo in discussione non solo la missione, ma anche se stessi.
L’episodio in cui Yuke si sacrifica per salvare tutti è uno di quei momenti che ti lasciano in apnea, col cuore in gola. Eppure, anche qui, l’anime riesce a non cadere nel melodramma facile. La sua “morte” non è fine a sé stessa, non è l’eroismo da cartolina. È il risultato di un percorso di consapevolezza, di una leadership costruita giorno dopo giorno, missione dopo missione. E il suo ritorno, alla fine, è una rinascita. Non del “prescelto”, ma di un uomo che ha scelto di esserci per gli altri, sempre.
A livello tecnico, la serie è solida e piacevole. La regia di Katsumi Ono sa dosare bene i tempi narrativi, le scene di combattimento sono fluide e ben animate, e le musiche di Go Sakabe riescono a catturare sia l’epicità delle battaglie che l’intimità dei momenti più riflessivi. Le ending, in particolare, mi hanno colpita per la loro delicatezza emotiva: “Treasure Chest”, “Mirror” e “Tapestry” sono vere carezze sonore che accompagnano alla perfezione le emozioni di ciascun arco narrativo.
Quello che rende davvero speciale I Left My A-Rank Party to Help My Former Students Reach the Dungeon Depths! è però la sua autenticità. In un panorama invaso da isekai senz’anima e protagonisti usa-e-getta, questa serie si prende il suo tempo per costruire. Non ha fretta, non si appoggia a scorciatoie narrative. Ogni rapporto evolve con naturalezza, ogni ostacolo viene affrontato con intelligenza e cuore. È un fantasy che parla di seconde possibilità, di legami veri, di quanto possa essere potente la fiducia quando viene restituita con amore.
Ora che la seconda stagione è stata annunciata, non posso che gioire. Perché so che la storia di Yuke e del suo adorabile party ha ancora tanto da raccontare. E sono pronta a seguirli, foglia dopo foglia, fino in fondo al dungeon. Perché questo anime non è solo un’avventura: è un viaggio emotivo che, una volta cominciato, non si dimentica più. E voi? L’avete già visto o è ancora in fondo alla vostra watchlist? Se vi ho incuriosito anche solo un po’, fatemelo sapere nei commenti! Condividete questa recensione con i vostri amici otaku, parlatene sui social e uniamoci in questa piccola grande fandom che merita di brillare. Il dungeon è profondo… ma con Clover al nostro fianco, possiamo andare ovunque.
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