Ci sono videogiochi che non si dimenticano. Non per i budget stellari o per la mole di marketing, ma per quel qualcosa che ti prende allo stomaco, ti parla in silenzio e ti accompagna per anni. Hyper Light Drifter per me è stato questo. Un viaggio sensoriale in pixel art, una poesia muta fatta di dash taglienti, rovine misteriose e quella colonna sonora capace di toccarti l’anima. Quando è stato annunciato Hyper Light Breaker, lo ammetto, ho avuto un sussulto. Non mi aspettavo un semplice “numero due”, ma un ritorno nello stesso universo, evoluto, espanso, che portasse avanti la filosofia di quel piccolo capolavoro con nuova energia. Invece mi sono trovata di fronte a qualcosa di profondamente diverso. Non solo per forma, ma per spirito. E la delusione, ve lo dico con il cuore di una videogiocatrice che ha Hyper Light tatuato dentro, è stata cocente.
Hyper Light Breaker, sviluppato ancora una volta da Heart Machine e pubblicato da Arc Games, è una creatura ambiziosa. Lo si vede subito dal salto tecnico: dal 2D atmosferico al 3D esplorabile, da un’epopea silenziosa a un’avventura multiplayer cooperativa in tempo reale. Si abbandona l’intimismo del Drifter per abbracciare l’azione adrenalinica, l’open world generato proceduralmente e il ritmo serrato dei roguelite moderni. Una mutazione che, almeno sulla carta, potrebbe suonare eccitante. Ma come ogni metamorfosi, anche questa è dolorosa. E forse, per ora, incompiuta.
L’ambientazione è l’Overgrowth, un regno alieno, colorato e contorto, dove ci muoviamo nei panni di un “Breaker” in missione per rovesciare il Re degli Abissi e i suoi letali luogotenenti, i Coronati. L’idea di base è intrigante, e visivamente alcune aree sono mozzafiato: paesaggi che sembrano usciti da un dipinto digitale, con quella palette vibrante che richiama l’estetica del Drifter ma in tre dimensioni. Ed è proprio quando lo guardi da lontano che Hyper Light Breaker ti incanta. Ma quando inizi a giocarci, l’incanto comincia a svanire.
Il problema principale è che, sotto quella veste sgargiante, il gioco manca di sostanza. L’esplorazione, che dovrebbe essere il cuore pulsante di un open world, è frustrante. Ti ritrovi a vagare tra terreni scoscesi, strutture spigolose e sentieri mal progettati che sembrano invitarti a scalare ma poi ti penalizzano per averlo fatto. È come se il mondo stesso non volesse davvero essere esplorato. E per un gioco che fa del “rompere” i confini il suo nome, è una contraddizione che pesa.
Anche il combattimento, che dovrebbe far vibrare l’adrenalina, delude. Il dash c’è, ma non ha più la precisione chirurgica del suo predecessore. Gli attacchi corpo a corpo risultano piatti, privi di quella soddisfazione tattile che cerchi in un hack-and-slash. Le armi da fuoco, pur numerose, sembrano tutte varianti poco ispirate dello stesso schema. E poi c’è il sistema di lock-on, instabile al punto da diventare un pericolo più che un alleato. Ti disconnette nei momenti più critici, lasciandoti in balia di orde di nemici che sembrano messi lì più per saturare lo schermo che per offrirti una sfida interessante.
Eppure, nonostante tutto questo, io volevo amarlo. Perché in mezzo alla frustrazione ci sono sprazzi di bellezza. L’hoverboard, ad esempio. Ok, sì, è difficile da controllare, ma quanto è figo sfrecciare tra le valli dell’Overgrowth con una tavola sospesa? E ogni tanto, durante una run, capita quel momento – una sinergia di abilità, un’arma che finalmente “clicca”, un panorama che si apre tra le montagne – che ti fa intravedere il gioco che Hyper Light Breaker potrebbe diventare.
Purtroppo, questi momenti sono troppo rari. Dopo qualche run, il ciclo diventa prevedibile. Raccogli oggetti, affronta due boss (uno dei quali devi battere due volte perché manca ancora il terzo), torni alla base, potenzi un po’ il tuo personaggio, riparti. Ma non c’è mai quella sensazione di progressione esaltante tipica dei migliori roguelite. Le armi non cambiano il tuo stile di gioco, i personaggi alternativi non sono abbastanza diversi per motivare nuovi approcci, e le ricompense sembrano piccole variazioni su un tema stanco.
E non parliamo della difficoltà. Io adoro le sfide, credetemi. Ho sudato ogni boss di Sekiro, ho pianto su Returnal, mi sono innamorata della durezza di Dead Cells. Ma qui la difficoltà non è “punitiva” in senso buono: è semplicemente squilibrata. Il gioco non ti spiega nulla, ti lancia contro orde di nemici senza pietà e ti priva di oggetti curativi nei momenti in cui servirebbero di più. E se sei da sola, buona fortuna: non esiste alcun adattamento del livello di sfida. O hai una squadra affiatata o sei carne da macello.
Va detto però che siamo ancora in fase di early access. E questo cambia le carte in tavola. Perché sì, Hyper Light Breaker oggi è un titolo incompleto, imperfetto, a tratti frustrante. Ma è anche un’opera in evoluzione. Heart Machine sta già lavorando per correggere bug, bilanciare meglio il gameplay, aggiungere contenuti e migliorare l’ottimizzazione, che attualmente è un altro punto dolente – tra cali di frame, caricamenti lunghissimi e crash occasionali.
La mia speranza, da fan sincera, è che questo progetto riesca a trovare la propria identità. Perché il potenziale c’è, è palpabile. L’universo visivo, la lore implicita, persino alcune meccaniche di base meritano di essere sviluppate. Ma servono tempo, ascolto e una direzione più definita. Al momento, Hyper Light Breaker è come una bozza affascinante di qualcosa che potrebbe diventare straordinario, ma che oggi è ancora solo un abbozzo.
Se amate l’universo di Hyper Light Drifter quanto me, se siete disposti a tollerare le spigolosità dell’early access e magari avete un paio di amici con cui lanciarvi nell’Overgrowth, forse vale la pena dargli una possibilità. Ma non aspettatevi un’esperienza rifinita. Piuttosto, armatevi di pazienza e tanta passione, come si fa con i giochi che si amano non per ciò che sono, ma per ciò che potrebbero diventare.
E ora ditemi: anche voi siete stati colpiti dal fascino misterioso di Hyper Light Drifter? Avete già provato Hyper Light Breaker o aspettate che raggiunga la sua forma definitiva? Preferite affrontare i roguelite in compagnia o siete lupi solitari dell’azione? Condividete la vostra esperienza nei commenti, e se questo articolo vi ha fatto riflettere o sorridere, spargetelo come pixel nell’etere nerd dei vostri social. Perché anche tra glitch e promesse, la nostra passione merita di essere raccontata.
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