
Hulk è il Frankenstein della Marvel. Nato, per ammissione del suo creatore Stan Lee, come incrocio fra il personaggio di Mary Shelley e il dottor Jekyll/Mister Hyde di Robert Louis Stevenson, è un eroe 'suo malgrado'. Bruce Banner fugge dal suo alter ego verde, cerca di controllarlo, vorrebbe solo trovare una cura alle radiazioni gamma a cui è stato esposto. Per Bruce 'perdere il controllo' vuol dire perdere tutto, perdere la propria apparenza umana, anche se non quell'umanità che gli si continua sempre a leggere negli occhi. E questa lotta fra ciò che è e ciò che Banner vorrebbe essere è ben resa nel film diretto da Louis Leterrier che, con qualche concessione di troppo alle scene spettacolari, risulta talvolta sopra le righe. Ma in fondo si parla di un fumetto, quindi va bene così.
Gli sceneggiatori sono stati bravi. Hanno saputo inframmezzare i sontuosi effetti speciali e gli sfarzosi combattimenti con fasi narrative forse un po' troppo brevi ma convincenti e a tratti divertenti. Bello – e sempre più umano, se non bambino – l'Hulk che si spaventa al cadere di un fulmine. Delicate le scene d'amore/affetto tra Norton e la Tyler, azzeccato il ruolo del professor Sterns e la scelta dell'attore Tim Blake Nelson. E i fan sorrideranno al cammeo di Lou Ferrigno, storico volto dell'Hulk televisivo, nel ruolo di una guardia di sicurezza che si fa corrompere da Edward Norton al prezzo di una pizza: un passaggio di consegne a base di capricciosa.
Il film scorre piacevole e sul finale, nelle strade di New York va in scena il combattimento finale tra il mostro dal cuore buono e l'Abominevole Blonsky. Hulk torna a spaccare, come ai bei tempi dei fumetti e della serie tv, e ovviamente a scappare. Perché nonostante abbia salvato la città, è sempre un pericolo, è sempre ricercato e rimarrà lontano dalla sua Betty. Una evidente strizzatina d'occhio al prossimo capitolo della saga: il generale Ross, unico vero eterno nemico di Hulk, si prepara alla caccia.
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