Robert Zemeckis è un nome che non ha bisogno di presentazioni. Con una carriera che ha definito il panorama cinematografico, il regista è il creatore di alcune delle pellicole più iconiche della storia del cinema, come Forrest Gump, Cast Away, Polar Express e Chi ha incastrato Roger Rabbit. La sua abilità nel mescolare innovazione tecnologica e narrazione coinvolgente lo ha reso uno dei registi più apprezzati, capace di toccare il cuore degli spettatori e di lasciarli con un’impressione indelebile. Con il suo ultimo film, Here, Zemeckis torna a esplorare il concetto di tempo, ma lo fa in modo assolutamente innovativo, regalando un’esperienza cinematografica che attraversa il passato, il presente e il futuro con uno stile inaspettato.
Here è tratto dalla graphic novel omonima di Richard McGuire e, pur mantenendo intatta la bellezza visiva dell’opera originale, si trasforma in qualcosa di completamente nuovo. La pellicola è girata a camera fissa, raccontando la storia di un piccolo spazio di pochi metri quadri, ma racchiudendo in quel frammento di mondo milioni di anni di storia. Il film si svolge su due ore in cui l’immagine rimane immobile, creando un’atmosfera quasi poetica, un’istantanea che esplora l’essenza dell’umanità e dei suoi fondamenti. La narrazione non lineare, che si concentra su un unico punto nello spazio, ci porta a vivere un viaggio attraverso diverse epoche, mescolando il tempo e lo spazio in un continuo gioco che invita a riflettere sul valore del “qui e ora”, tema centrale del film.
Una delle innovazioni più sorprendenti di Here è la struttura narrativa: Zemeckis divide lo schermo in più riquadri, consentendoci di osservare simultaneamente eventi che si svolgono in momenti diversi, creando una riflessione visiva che esplora la sovrapposizione di ricordi e esperienze. La tecnica non è solo affascinante a livello estetico, ma rispecchia anche il cuore del film, dove il tempo e lo spazio si intrecciano in modo che tutto sembri essere in costante evoluzione. La casa, che è il principale scenario della storia, diventa un simbolo di trasformazione, quasi come un “disgelo del paesaggio”, un concetto che rimanda al pensiero del filosofo Bruno Latour.
La trama ruota attorno a una coppia interpretata da Tom Hanks e Robin Wright, che già insieme hanno dato vita ad alcuni dei più grandi capolavori del cinema. In Here, Hanks veste i panni di un ex artista degli anni ’60, un uomo costretto a rinunciare ai suoi sogni per diventare assicuratore a causa delle necessità economiche. La sua scelta di sacrificarsi per mantenere la famiglia e soprattutto la casa di famiglia, un’antica villetta costruita ai tempi di Benjamin Franklin, è il cuore pulsante della narrazione. Tuttavia, sebbene la coppia sia centrale, la vera protagonista del film è la casa stessa, che, nel suo cambiamento, diventa il riflesso del nostro rapporto con il tempo. In Here, la casa non è un luogo statico, ma un ente in continua evoluzione, proprio come le persone che vi abitano. Attorno a questo spazio, il film intreccia storie di vite, amori, dolori, nascite e morti, raccontando generazioni intere e offrendo un ritratto universale dell’esistenza umana.
Nonostante la sua apparente semplicità visiva, Here riesce a toccare il cuore, portando lo spettatore a riflettere sulla bellezza della vita e sulla sua fugacità. Zemeckis, noto per la sua abilità nel giocare con la tecnologia, in questo film raggiunge un apice narrativo unico. La sua regia sospende lo spettatore tra il rigore tecnico e l’intimità emozionale, creando un’esperienza cinematografica tanto semplice quanto potente. La tecnologia viene usata magistralmente, con l’uso del de-aging digitale che permette agli attori di interpretare i loro personaggi in diverse fasi della vita, un espediente che, unito alla velocità della CGI, enfatizza la transitorietà del tempo, mostrandone al contempo la sua immobilità e il suo incessante fluire.
Ma Here non è solo una riflessione sul tempo; è anche una meditazione sul nostro rapporto con l’immagine. In un’epoca in cui siamo bombardati da schermi e frammenti di realtà, il film ci invita a cercare un punto di fuga, un angolo in cui osservare il caos che ci circonda. I personaggi sembrano cercare di sfuggire alla staticità del presente, ma i luoghi, come radici invisibili, li richiamano sempre indietro, ricordandoci che la nostra connessione con il passato è una forza che non possiamo ignorare.
Il film è prodotto da Steven Spielberg, il mentore di Zemeckis, che esprime ancora una volta la sua poetica sulla vita e sull’importanza della famiglia. Il messaggio è chiaro e profondo: per proteggere ciò che conta davvero, bisogna fare dei compromessi. Alla fine, il cerchio della vita si chiude, lasciandoci più saggi e consapevoli.
Uno dei temi più potenti di Here è proprio il concetto di casa come punto di ritorno. Zemeckis esplora come i luoghi siano legati ai ricordi che definiscono la nostra esistenza. Una delle scene più emozionanti del film è quella in cui il personaggio di Richard, ormai anziano, porta Margaret, che soffre di demenza, in una casa vuota. Questo momento carico di emozione ci ricorda che, nonostante il tempo passi e le persone cambino, ci sono luoghi che rimangono impressi nella nostra memoria, luoghi che non possiamo mai veramente abbandonare.
Here è un film che, pur prendendo ispirazione da una graphic novel, si trasforma in una profonda riflessione filosofica sul nostro rapporto con il tempo e lo spazio. Zemeckis, ancora una volta, dimostra di essere un maestro nell’arte di fondere tecnologia, emozioni e narrazione, portandoci a riflettere sul nostro posto nel mondo e sulla fugacità della vita. Con una struttura narrativa originale, innovazioni tecniche straordinarie e una storia che tocca profondamente il cuore, Here è destinato a rimanere uno dei lavori più affascinanti e commoventi della sua carriera.
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