C’è stato un tempo in cui Hollywood voleva “americanizzare” tutto ciò che arrivava dal Giappone. Un periodo di esperimenti audaci, spesso discutibili, in cui le grandi case di produzione statunitensi tentavano di reinterpretare gli anime in chiave occidentale, trasformando saghe leggendarie in prodotti dal sapore pop, pensati per un pubblico giovane e commerciale. E così, dopo il famigerato progetto Saban Moon — l’improbabile versione live action di Sailor Moon (Saban Moon) in stile Power Rangers — anche Saint Seiya rischiò di subire la stessa sorte.Negli anni ’90, infatti, Bandai progettò un remake animato americano della serie di Masami Kurumada, intitolato Guardians of the Cosmo. Un nome altisonante, pensato per far presa su un mercato allora ossessionato dai supereroi e dai giocattoli da collezione. Fortunatamente, quel progetto non vide mai la luce. Ma oggi, grazie al lavoro d’archivio della youtuber e ricercatrice Raven “Ray Mona” Simone, possiamo dare un’occhiata a ciò che avrebbe potuto essere un clamoroso sacrilegio animato.
La scoperta è avvenuta nel 2022, all’interno del format Tales of the Lost, in cui Ray Mona esplora opere dimenticate o mai pubblicate. Tra le sue ricerche, spunta proprio un pilot intitolato Guardians of the Cosmo, ritrovato nientemeno che nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Ed è bastato premere play per comprendere perché questo progetto sia rimasto sepolto per decenni.
Il primo episodio, recuperato in copia d’archivio, mostra un universo che con i Cavalieri dello Zodiaco ha in comune soltanto l’idea vaga di “eroi in armatura”. Tutto il resto è stato riscritto secondo i canoni del cartoon americano di quegli anni, più vicino a He-Man o Captain Planet che alle atmosfere drammatiche e mitologiche di Kurumada.
Seiya, il protagonista originale, diventa “Zach”, un nome da teen hero anni ’90, atletico, sorridente e dotato della “mitica meteora”, potere ereditato da misteriosi antichi guerrieri. Saori — la reincarnazione di Atena — scompare del tutto, sostituita da una certa “Nova”, la classica principessa da salvare. Il Gran Sacerdote, figura mistica e ambigua nel manga, qui si trasforma nel dio Apollo, villain dal look supereroistico e dagli occhi laser.
Anche i compagni di battaglia subiscono un restyling degno di un fast food narrativo: Shiryu diventa “Clint”, dotato di catene (!) come se avesse ereditato i poteri di Andromeda; Hyoga risponde al nome di “Jake”; Shun diventa “Maxis”; e Ikki — povero Ikki! — viene ribattezzato “Quinn”. Tutti uniti per difendere la Terra dalle forze del male… custodendo le loro “sacre armature” non più in eleganti scrigni dorati, ma in pratici borsoni da palestra.
È difficile non sorridere (o piangere) davanti a una simile reinterpretazione. L’idea alla base di Saint Seiya — il sacrificio, la fratellanza, il destino scritto nelle stelle — si dissolve in una parata di cliché americani, tra battute ironiche, mascotte parlanti e un’estetica da spot di cereali. Eppure, proprio per questo, Guardians of the Cosmo è diventato una piccola reliquia della cultura pop: una testimonianza di come gli Stati Uniti abbiano provato, e fallito, nel tentativo di “domare” la potenza epica dell’animazione giapponese.
Negli anni ’90 Bandai e altre case di produzione giapponesi cercavano di conquistare il mercato occidentale adattando i propri brand alle logiche del marketing televisivo americano. In un’epoca in cui Dragon Ball Z, Pokémon e Power Rangers dominavano le tv, l’idea di avere dei “Cavalieri dello Zodiaco” made in USA poteva sembrare una mossa astuta. Ma senza la filosofia, la spiritualità e il pathos dell’opera originale, il risultato era destinato al dimenticatoio.
Oggi, grazie a Internet e alla passione dei fan, questo pilot è stato riscoperto come una curiosità da museo, una “what if” animata che fa sorridere ma anche riflettere su quanto l’identità culturale sia importante nella narrazione. Guardians of the Cosmo è il promemoria di un’epoca in cui si credeva che bastasse una vernice pop e qualche battuta alla “cowabunga” per trasformare i miti in cartoon vendibili.
Eppure, paradossalmente, questo fallimento ha contribuito a far capire all’industria occidentale che certi prodotti non possono essere “tradotti”, ma solo accolti e compresi. Oggi Saint Seiya è riconosciuto in tutto il mondo come un pilastro dell’animazione giapponese, e la sua filosofia — la costanza, il sacrificio, il coraggio di rialzarsi — continua a parlare a generazioni di fan.
In fondo, forse è meglio così. Perché nel cosmo dei Cavalieri dello Zodiaco non c’era bisogno di “guardiani americani”. Bastava la forza di Seiya, la saggezza di Atena e quel pugno che ancora oggi — dopo decenni — riesce a colpire dritto al cuore.











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