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Grimgar of Fantasy and Ash: il fantasy che fa male. Davvero.

In un mare sconfinato di anime isekai in cui protagonisti ipercompetenti, cheat spropositati e fanservice a pioggia dominano la scena, Hai to Gensou no Grimgar – conosciuto in inglese come Grimgar of Fantasy and Ash – è un piccolo gioiello sommerso, capace di distinguersi per un approccio narrativo e visivo che ancora oggi, a distanza di quasi dieci anni dalla sua uscita, continua a far discutere.Tratto dalle light novel di Ao Jyumonji, illustrate da Eiri Shirai, l’anime – prodotto da A-1 Pictures – venne trasmesso nella stagione invernale del 2016 e conta 12 episodi che coprono solo i primi due volumi della saga (attualmente arrivata a ben 8 volumi e ancora in corso). Un vero peccato, considerando il potenziale che la serie aveva (e ha tuttora) per espandersi.

La trama di base, a dirla tutta, suona come qualcosa che abbiamo già sentito mille volte: un gruppo di ragazzi si risveglia in un mondo fantasy senza ricordare nulla della propria vita precedente, se non vaghi frammenti confusi. Da lì in poi, devono imparare a sopravvivere, giorno dopo giorno, affrontando mostri e sfide senza alcuna preparazione. mEppure, Grimgar non è affatto l’ennesima copia carbone di Sword Art Online o di Overlord. Anzi, è esattamente l’opposto. Invece di puntare sul power fantasy e sull’evasione, questo anime ci catapulta in un mondo sporco, crudele e spietatamente realistico, dove ogni ferita fa male, ogni scontro è una questione di vita o di morte e, soprattutto, la morte è definitiva.

Un fantasy “slice of life”: la vita vera in un mondo irreale

Sin dal primo episodio, si percepisce che il regista e il team creativo dietro a Grimgar avevano in mente qualcosa di molto diverso dal tipico fantasy per adolescenti. Qui non ci sono cavalieri invincibili o maghi dagli incantesimi planetari. C’è un gruppo di ragazzi qualunque che deve imparare a combattere goblin… e scopre che persino un goblin può essere un nemico terrificante.

Ogni aspetto della sopravvivenza è raccontato con una cura quasi maniacale: come si dorme su letti di paglia, cosa si mangia (o meglio, come si patisce la fame), come ci si lava in un mondo medievaleggiante, quanto è difficile mantenere in efficienza le proprie armi, quanto il freddo o il caldo possano incidere sulle energie. È come se il regista avesse deciso di prendere ogni elemento dato per scontato in un fantasy e rimetterlo brutalmente a fuoco.

E funziona. Eccome se funziona. La forza di Grimgar sta proprio nel suo cuore slice of life travestito da fantasy: ci fa affezionare ai personaggi non perché siano eroi leggendari, ma perché sono ragazzi normali, vulnerabili, spesso impauriti, che affrontano la loro condizione con un realismo disarmante.

Haruhiro e compagni: crescita vera, non XP farming

Uno dei punti di forza maggiori della serie è la caratterizzazione dei personaggi. In particolare, Haruhiro, il protagonista, è tratteggiato con una profondità sorprendente grazie ai suoi monologhi interni e al suo percorso di crescita emotiva. Ma anche gli altri membri del gruppo non sono semplici stereotipi ambulanti: iniziano fragili, impacciati, spesso sbagliando clamorosamente, e proprio da questi errori imparano a maturare.

La progressione del party non avviene tramite level up miracolosi o loot epici, ma con la fatica quotidiana e il trauma. La morte di un compagno pesa come un macigno. Ogni scelta strategica sbagliata può costare carissima. Questo elemento ha contribuito a rendere Grimgar una boccata d’aria fresca in un panorama che tendeva (e tende ancora) a glorificare il potere fine a sé stesso.

Un mondo che vive e respira… tra i pennelli

Visivamente, Grimgar è semplicemente incantevole. I fondali dipinti a mano, i cieli acquerellati, le animazioni fluide e dettagliate conferiscono al mondo di gioco un senso di vita che raramente si trova in altri isekai. Non è un semplice “setting” per far muovere i personaggi: è un mondo che vive e respira, che emana fascino e malinconia in ogni inquadratura.

La regia gioca moltissimo con i silenzi e le atmosfere sospese, accentuando il senso di solitudine e precarietà. E la colonna sonora? Un piccolo capolavoro, con una ending struggente e insert song che amplificano ogni emozione.

Ma allora, perché non una seconda stagione?

Questa è la domanda che ogni fan di Grimgar si fa da anni. La risposta è probabilmente da ricercare proprio nella coerenza narrativa e nel coraggio con cui la serie ha deciso di raccontare la propria storia.In un mondo in cui l’isekai vende più quanto più è leggero e spensierato, Grimgar ha scelto la strada opposta. Ha rinunciato al fanservice sfrenato, agli archetipi rassicuranti, ai finali da “power trip”. Ha mostrato l’incertezza, la fatica, il dolore. Forse per questo non è riuscito a catturare il grosso pubblico che i produttori speravano.Eppure, chi ha amato Grimgar, lo ha amato visceralmente. Perché non capita spesso di trovarsi di fronte a un anime fantasy che riesca a essere tanto immersivo e umano allo stesso tempo.

Un bilancio finale

Certo, Grimgar non è un anime perfetto. La narrazione soffre a tratti di un ritmo troppo lento, soprattutto nei primi episodi, e il finale appare un po’ prevedibile e affrettato. Ma questi difetti non oscurano l’enorme valore della serie nel suo complesso.Personalmente, lo considero uno degli esperimenti più coraggiosi e sinceri nel panorama isekai degli ultimi anni. E continuo a sperare che prima o poi qualcuno decida di riportarci in quel mondo di cenere e illusioni. Nel frattempo, se non l’avete ancora visto, vi consiglio di recuperarlo. Ma fate attenzione: qui non troverete eroi invincibili né magie spettacolari. Troverete ragazzi che provano paura, che soffrono, che crescono. E, credetemi, è molto più emozionante così.

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