C’è qualcosa di profondamente poetico, quasi tragico, nell’immagine di un cavaliere medievale che, colpito da un demone, perde l’armatura e continua a combattere in mutande. Ghosts ’n Goblins non è soltanto un videogioco: è una parabola digitale sull’eroismo, la punizione e la perseveranza. Adriano Di Medio lo sa bene, e nel suo nuovo saggio “Ghosts ’n Goblins – Il cavaliere in mutande e pixel” decide di esplorare proprio quell’abisso di significati nascosto sotto la crosta dei 16 bit.
Pubblicato da Copertina, il libro è molto più di una retrospettiva nostalgica. È un viaggio saggistico, critico e immaginifico dentro il mondo gotico e ironico creato da Tokuro Fujiwara nel lontano 1985 per Capcom, quando le sale giochi erano cattedrali di luce e rumore, e ogni gettone era una promessa di gloria (o una condanna al “Game Over”).
Un cavaliere nell’inferno dei pixel
Di Medio, storico e insegnante prestato alla cultura pop, ricostruisce la leggenda di Arthur — cavaliere errante, imbranato e sfortunato — che attraversa cimiteri infestati, foreste maledette e castelli demoniaci per salvare la sua amata Prin-Prin. Ma più il lettore si addentra nel testo, più capisce che il cuore del saggio non è la missione cavalleresca, bensì il concetto stesso di eterno ritorno. Come Sisifo davanti alla sua roccia, Arthur è condannato a ricominciare sempre da capo, due volte di seguito per completare davvero il gioco, in un ciclo infernale che diventa metafora dell’esistenza umana.
L’autore accompagna questa riflessione con una scrittura agile e ironica, capace di passare dal linguaggio critico al tono complice del giocatore che “c’era” — quello che ancora oggi sogna di superare il livello del Cimitero senza perdere l’armatura al primo zombie.
L’estetica del grottesco digitale
Il saggio non si limita alla nostalgia: analizza in profondità l’immaginario gotico e fiabesco che fece di Ghosts ’n Goblins un unicum nel panorama videoludico degli anni ’80. Di Medio evidenzia come Capcom, in piena epoca di eroi muscolari e astronavi spaziali, scelse invece un’estetica di rovine, tombe e scheletri danzanti. È un mondo popolato da mostri che sembrano usciti da un’incisione di Goya, trasposti in una dimensione da cartoon macabro.
Il “villaggio del mondo demoniaco” — Makaimura nel titolo originale giapponese — diventa così una sorta di purgatorio elettronico, dove il giocatore deve imparare la pazienza, la disciplina e, soprattutto, l’accettazione della sconfitta. Ogni salto sbagliato è una lezione morale; ogni proiettile evitato, una piccola redenzione.
Da sala giochi a mito culturale
Di Medio ripercorre poi la genealogia del franchise: dai gloriosi sequel come Ghouls ’n Ghosts e Super Ghouls ’n Ghosts, fino a Ghosts ’n Goblins Resurrection del 2021, passando per le apparizioni cameo di Arthur in titoli crossover come Marvel vs. Capcom. Ogni reincarnazione, spiega l’autore, non è semplice fan service, ma una tappa dell’evoluzione del mito.
Ghosts ’n Goblins, come ogni opera destinata a sopravvivere al proprio tempo, ha trasceso il medium: da videogioco a simbolo, da simbolo a linguaggio, da linguaggio a filosofia dell’ostinazione. È un universo dove ogni pixel racconta la fragilità dell’eroe e la grandezza del fallimento.
L’arte del morire (e del ricominciare)
Chiunque abbia imbracciato la lancia di Arthur almeno una volta sa che Ghosts ’n Goblins è una palestra di umiltà. È il gioco che ti punisce per ogni distrazione e ti obbliga a imparare, errore dopo errore. Ma Di Medio, con la lente del saggista, ci fa capire che in quella difficoltà si nasconde una lezione più ampia: il videogioco come rito di iniziazione.
Non c’è gloria senza sofferenza, non c’è vittoria senza accettare la sconfitta. E in questo ciclo infinito di morte e rinascita, l’autore trova un parallelo con la tragedia greca, la mitologia cristiana e persino la filosofia dell’eterno ritorno di Nietzsche. Ghosts ’n Goblins, insomma, non è solo un arcade: è un piccolo trattato esistenzialista mascherato da platform infernale.
Adriano Di Medio, il professore che parla ai demoni dei pixel
Con uno stile che fonde divulgazione e passione, Di Medio riesce a rendere accessibile un’analisi densa di riferimenti culturali senza mai rinunciare al tono ironico e complice del gamer. Tra un rimando a Dante Alighieri e uno a Dark Souls, il suo saggio diventa un ponte tra accademia e joystick, dimostrando come la critica videoludica possa essere, oggi più che mai, una forma di letteratura.
Un’eredità che continua a vivere
Alla fine del viaggio, resta la sensazione che Ghosts ’n Goblins non abbia mai davvero smesso di parlare a chi ci ha giocato — e a chi ci giocherà. Perché dietro l’armatura scintillante e i boxer a cuoricini, Arthur è tutti noi: fragili, determinati, goffi e irriducibili.
E allora sì, forse è vero che “morire mille volte” in un videogioco può insegnarci qualcosa sulla vita.
Ghosts ’n Goblins – Il cavaliere in mutande e pixel è un tributo alla resilienza digitale, un viaggio nella memoria collettiva dei gamer e un atto d’amore verso un’epoca in cui ogni partita era un’avventura.
Perché, come ricorda Di Medio, “non conta quante volte cadi, ma quante volte riesci a rimetterti in mutande e ripartire”.











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