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Fear Street: Prom Queen – Il ritorno dell’orrore adolescenziale tra sangue, lustrini e malinconia anni ’80

Se c’è un angolo dell’horror contemporaneo dove il sangue scorre a ritmo di synth e i traumi adolescenziali diventano pretesto per veri e propri bagni di sangue, quello è senza dubbio Fear Street. Il nuovo capitolo della saga Netflix, Fear Street: Prom Queen, approdato in streaming il 23 maggio 2025, è il tentativo dichiarato di riportarci nei territori disturbati e nostalgici della Shadyside degli anni ’80. Un’operazione a metà tra fan service e rilancio creativo, che però – diciamocelo subito – non raggiunge le vette disturbanti e coinvolgenti della trilogia firmata Leigh Janiak.

Il film, diretto da Matt Palmer (che ne firma anche la sceneggiatura insieme a Donald McLeary), prende spunto dall’omonimo romanzo di R.L. Stine del 1992, ma lo adatta con un’ottica slasher che strizza l’occhio ai classici del genere. Non è un reboot, né un sequel diretto: si colloca piuttosto come uno standalone narrativo, pur mantenendo qualche sottile connessione con la lore della saga originale. E sì, ci sono momenti in cui il fan più attento noterà echi, presenze familiari, ombre già viste. Ma non aspettatevi rivelazioni clamorose: qui il focus è tutto sul ballo di fine anno più mortale della storia del cinema teen horror.

Siamo nel 1988, periodo aureo per l’horror di consumo, e Prom Queen non si fa pregare per evocare ogni possibile stereotipo estetico dell’epoca. Le acconciature sono voluminosissime, i giubbotti di jeans acido-lavati fanno la loro parte, e la colonna sonora sembra uscita da una compilation di Sassy Magazine. Ma sotto la superficie glitterata si nasconde qualcosa di più sinistro: la scuola di Shadyside è il teatro di una nuova carneficina, e questa volta la corona della reginetta del ballo è l’oggetto del desiderio che scatena l’inferno.

La protagonista è Lori Granger, interpretata da India Fowler con un’intensità a tratti trattenuta, outsider per vocazione più che per scelta, che si ritrova catapultata in una guerra tra dive scolastiche e aspiranti tali. La sua rivale Tiffany Falconer, resa in modo impeccabile da Fina Strazza, è la quintessenza della “mean girl” anni ’80: bellissima, crudele e, ovviamente, circondata da un branco di cloni leccapiedi che si fanno chiamare Wolfpack. A completare il quadro ci pensa Christy Renault, interpretata da Ariana Greenblatt, cliché vivente della ragazza cattiva con il fidanzato motociclista e lo sguardo da “non me ne frega niente”. Il problema è che uno dopo l’altro, i candidati al ballo cominciano a sparire. Letteralmente.

La costruzione del mistero non è il punto forte del film: il whodunit è poco stratificato e i colpi di scena, per chi conosce a menadito le regole dello slasher, risultano piuttosto prevedibili. Dove invece Prom Queen riesce a brillare è nel comparto estetico. La fotografia è un tributo sentito al cinema horror di fine anni ’80, tra nebbie scolastiche, lockerroom fluorescenti e panoramiche da VHS. Il killer – mascherato, ovviamente – ha un design che grida “cult istantaneo”, anche se alla fine si rivela più estetica che sostanza. I personaggi secondari sono una nota dolente. Nonostante qualche spunto interessante, restano spesso relegati a funzioni narrative basilari. Megan, la best friend horror-nerd interpretata da Suzanna Son, avrebbe potuto essere una gemma meta-cinematografica, ma viene abbandonata a sketch fugaci, gag gore fuori tempo massimo e dialoghi che non rendono giustizia alla sua potenziale profondità geek. Gli adulti, invece, compaiono più del solito rispetto ai canoni della saga, ma sembrano pedine incollate in un gioco che richiedeva più audacia e meno didascalismo.

Il ritmo generale è altalenante. Nonostante la durata contenuta (appena sotto i 90 minuti), il film fatica a mantenere la tensione, spezzata da scene di dialogo poco incisive e transizioni narrative che sembrano uscite da un montaggio ancora in bozza. Quando però l’azione parte, con le uccisioni splatter e le trovate sceniche al limite del kitsch, il divertimento è assicurato. Anche se – diciamolo – l’inventiva nei “kill” non raggiunge mai i picchi di ironia sadica del secondo film della trilogia originale.

E allora? Fear Street: Prom Queen è un film da vedere? Dipende da cosa cercate. Se volete un horror compatto, infarcito di atmosfere vintage, sangue scenografico e rivalità da liceo portate all’estremo, allora sì, è un buon modo per passare una serata con luci spente e popcorn a portata di mano. Ma se siete fan duri e puri di Fear Street, e magari avete ancora i brividi pensando alla maledizione della famiglia Goode, potreste percepire questo ritorno a Shadyside come un passo indietro. Più che un reboot rivoluzionario, sembra un omaggio affettuoso, ma un po’ superficiale.

Il retrogusto che lascia è quello di un film che avrebbe potuto osare di più. A mancare, forse, è la mano femminile e visionaria che aveva reso potente la trilogia precedente. La regia di Palmer è precisa, ma non lascia impronte memorabili. E la scrittura, pur ammiccando ai fan con riferimenti e stilemi del genere, non riesce a costruire una vera empatia con i personaggi. L’ultimo atto, seppur carico di sangue e grida, si chiude con una prevedibilità che non scuote davvero.

Ma hey, non tutto è da buttare. L’estetica funziona, la colonna sonora è un piacere colpevole e alcune sequenze hanno quella tensione tipica da “coperta tirata fino agli occhi”. Per molti fan del genere, può bastare.

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