L’arte giapponese è da sempre un crocevia di mistero e bellezza, capace di affascinare con le sue sfumature bizzarre e inquietanti. Tra le espressioni più controverse e affascinanti di questa tradizione si inserisce l’ero guro (エログロ), un genere artistico che fonde l’erotismo con la deformità grottesca, dando vita a una combinazione esplosiva di corruzione sessuale, decadimento e stranezza. Questo termine, che in Occidente è spesso frainteso, nasce da un curioso gioco linguistico giapponese, il wasei-eigo, una fusione di parole inglesi abbreviate: “ero”, da erotico, e “guro”, da grottesco. Così facendo, l’ero guro non si limita a rappresentare scene di violenza o sangue, come potrebbe suggerire la confusione con il termine “gore”, ma si configura come una sintesi visiva di deformazioni e inquietudini che sfidano le convenzioni estetiche tradizionali.
La genesi di questo movimento risale agli anni Venti e Trenta del secolo scorso, durante il periodo Taishō, quando Tokyo divenne il fulcro di un’esplosione culturale ed artistica che avrebbe cambiato per sempre la scena giapponese. Questo decennio, segnato dall’incertezza economica e dalla trasformazione sociale, diede vita a una forma d’arte che esplorava i confini del deviante e dell’assurdo, simile a quell’atmosfera edonistica e nichilista che dominava la Berlino della Repubblica di Weimar. Questo periodo di sperimentazione si rifletteva non solo nelle idee ma anche nell’estetica di artisti come Tsukioka Yoshitoshi, noto per le sue xilografie che accostavano immagini erotiche a scene di violenza storica, come decapitazioni e massacri. Anche gli artisti ukiyo-e come Utagawa Kuniyoshi si spinsero oltre il semplice erotismo, inserendo nei loro lavori elementi di bondage, stupro e crocifissioni, spingendo i confini dell’arte verso un territorio oscuro e senza remore.
L’incidente di Sada Abe nel 1936, quando una donna strangolò e castrò il suo amante, divenne un simbolo per il movimento ero guro, purtroppo portando anche alla censura di simili opere. Ma la censura non riuscì a fermare l’ondata di creatività che continuò a prosperare nel cinema, nella musica e nelle arti visive giapponesi degli anni successivi.
Con il passare degli anni, l’ero guro continuò a essere una fonte di ispirazione per molteplici forme di espressione. Nei decenni ’60 e ’70, il cinema giapponese, in particolare il pink film e l’horror, abbracciò con entusiasmo i temi di violenza e corruzione sessuale tipici dell’ero guro. Film come Shogun’s Joy of Torture (1968) di Teruo Ishii, Horrors of Malformed Men (1969) e Blind Beast (1969) di Yasuzo Masumura, tratti dalle opere di Edogawa Ranpo, trasportarono sullo schermo la brutalità e la distorsione del corpo umano in maniera scioccante, con scene di tortura e deformità che divennero simboli del genere.
Il 2005 segnò un altro capitolo nella riscoperta dell’ero guro con Strange Circus, un film di Sion Sono che mescolava erotismo e orrore in un cocktail disturbante di immagini provocatorie e angoscianti. Ma non solo il cinema ha accolto questo genere: nel panorama musicale giapponese, in particolare nel visual kei, alcune band come i Cali Gari hanno trovato ispirazione nell’ero guro, creando performance che mescolano violenza, erotismo e estetica disturbante.
Nel mondo del fumetto, l’ero guro ha continuato a evolversi, con artisti come Suehiro Maruo, Hideshi Hino e Shintaro Kago che hanno spinto i limiti della decenza, creando opere che uniscono il grottesco con il desiderio in una danza inquietante. Kago, in particolare, è celebre per le sue illustrazioni macabre, che combinano l’estetica del bello con la distorsione più profonda, creando una visione di arte disturbante e affascinante al tempo stesso.
Nel contesto della pornografia giapponese, l’ero guro ha anche dato vita a una sottocategoria che, oggi, è considerata un sottogenere a sé stante: il guro. Questa categoria include contenuti sessuali estremi, come mutilazioni e disfigurazioni, che continuano a suscitare un vasto seguito di appassionati. Sebbene controverso, il guro ha raggiunto un’enorme popolarità tra le comunità online, alimentando un mercato che è al contempo disturbante e irresistibile per molti.
L’ero guro rimane una delle espressioni più audaci e provocatorie della cultura giapponese, capace di spingere i confini della bellezza, dell’erotismo e dell’orrore. È un paradosso affascinante che, pur inquietando, invita alla riflessione sulla natura del desiderio, della sofferenza e dell’estetica. Un genere che, come nel periodo Taishō, sfida le convenzioni e stimola una visione critica della società, rimanendo un campo fertile di esplorazione per gli artisti contemporanei che continuano a ridisegnare il confine tra l’arte e il disturbante.
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