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Dept. Q – Sezione casi irrisolti: il noir scozzese che riscrive le regole del crime thriller su Netflix

Cosa succede quando prendi un cult scandinavo, lo trapianti nella piovosa Edimburgo, lo affidi a una coppia di showrunner ispirati (Scott Frank e Chandni Lakhani), e lo trasformi in una serie crime all’inglese, ma con quel twist nordico che ci fa impazzire? Succede che nasce Dept. Q – Sezione casi irrisolti, una delle serie thriller più coinvolgenti del 2025, già destinata a diventare un riferimento nel panorama del “murder mystery con detective geniale”. Un titolo che fa rumore, che profuma di atmosfere gotiche, e che fonde sapientemente drammi interiori, misteri intricati e personaggi borderline, in un cocktail irresistibile per noi nerd e serial addicted.

La serie, disponibile su Netflix dal 29 maggio 2025, è ispirata all’omonima saga letteraria del danese Jussi Adler-Olsen, ma cambia geografia e atmosfera: non più la Copenaghen dei romanzi, bensì una Edimburgo piovosa, gotica e malinconica, perfetta per ambientare delitti sepolti nel tempo e segreti mai sopiti. E se pensate che sia solo un ennesimo crime, vi sbagliate di grosso.

Il cuore pulsante di Dept. Q è lui: Carl Morck, interpretato da un sorprendente Matthew Goode, qui lontanissimo dai ruoli raffinati che l’hanno reso celebre (vedi Downton Abbey o A Discovery of Witches). Morck è un investigatore scontroso, burbero, ferito nel corpo e nell’anima dopo una sparatoria che ha lasciato sul campo un collega morto e l’altro, il fidato James Hardy (un Jamie Sives commovente), su una sedia a rotelle. Morck sopravvive, sì, ma la sua anima resta imprigionata nei sensi di colpa e nel rifiuto verso il genere umano. Una mina vagante che la sua superiore Moira Jacobson (la sempre intensa Kate Dickie) relega in uno scantinato, insieme a un mucchio di vecchi casi archiviati. Così nasce Department Q: la sezione casi irrisolti della polizia di Edimburgo.

Ma attenzione, perché da questo seminterrato ammuffito e dimenticato dal mondo inizia una delle indagini più avvincenti degli ultimi anni. Il primo caso? La misteriosa scomparsa, avvenuta quattro anni prima, della determinata procuratrice Merritt Lingard (interpretata dalla glaciale e intensa Chloe Pirrie), impegnata a incastrare un potente imprenditore per femminicidio. Un cold case apparentemente irrisolvibile, che diventerà il banco di prova del neonato team, composto da figure ai margini della polizia ufficiale.

E qui arriva uno degli aspetti più affascinanti della serie: la squadra dei reietti. C’è Akram Salim, ex poliziotto siriano rifugiato in Europa, genio informatico dal passato enigmatico, interpretato da un magnetico Alexej Manvelov. Un personaggio silenzioso, posato, ma con un’aura pericolosa sotto la superficie: una specie di Sherlock arabo con l’efficienza di un agente dell’MI6. Al suo fianco, la giovane Rose Dickson (una sorprendente Leah Byrne), cadetta fragile ma dotata di un fiuto infallibile, neurodivergente, scartata da un sistema che non sa cosa farsene dei talenti non convenzionali. E infine, a completare il cast di questa tragicomica famiglia disfunzionale, Kelly Macdonald nei panni della psicoterapeuta Irving, una voce di coscienza ironica e anticonformista, che riesce a scalfire persino l’armatura del caustico Morck.

Il risultato è un noir scozzese che mescola le atmosfere tese dei nordic thriller con l’umorismo nero di Slow Horses e la mente brillante di Sherlock. Ma qui il detective geniale è rotto, asociale, vendicativo. Un antieroe per cui non si fa il tifo subito, anzi. All’inizio verrebbe voglia di prenderlo a schiaffi. Poi, puntata dopo puntata, finisci col lasciarti conquistare da quell’umanità ferita che si nasconde dietro ogni sarcasmo, ogni parolaccia, ogni gesto ruvido.

La regia di Scott Frank, già dietro a capolavori come La regina degli scacchi, è chirurgica: taglia, cesella, costruisce tensione senza mai strafare. La sceneggiatura, co-scritta con Chandni Lakhani, Stephen Greenhorn e Colette Kane, è solida e intelligente, capace di mescolare con naturalezza crime, psicologia e una sottile critica sociale. La fotografia gioca con le ombre della città scozzese e il sound design accompagna ogni momento con discrezione, creando un’atmosfera immersiva e inquietante.

E i critici? Dept. Q ha fatto centro. Con un 81% di gradimento su Rotten Tomatoes e un punteggio di 69 su Metacritic, la serie ha convinto quasi tutti. C’è chi la definisce “un thriller sublime e ben costruito”, chi ne loda “la chimica perfetta tra i protagonisti”, chi come Kristen Baldwin di Entertainment Weekly la promuove con un A-, celebrandone il mix tra misteri risolti e ferite interiori da curare. E noi, da bravi nerd, come possiamo non innamorarci di un detective che odia gli scozzesi, maltratta chiunque ma risolve l’impossibile?

Dept. Q – Sezione casi irrisolti è quel tipo di serie che ti prende a tradimento. Parte lenta, silenziosa, apparentemente già vista. Ma poi, quando meno te l’aspetti, ti incolla allo schermo. Ti coinvolge con i suoi personaggi rotti, con le trame oscure, con la voglia di giustizia che sopravvive al disincanto. E, diciamocelo, vedere Matthew Goode sporco, trasandato, incattivito ma affascinante, è un’esperienza che da sola vale il binge-watching.

In attesa della seconda stagione già in lavorazione, possiamo solo goderci ogni dettaglio di questa prima annata che, oltre al giallo da risolvere, è anche una riflessione sul dolore, sulla colpa e sulla possibilità di redenzione.

Hai già visto Dept. Q su Netflix? Che ne pensi di questa nuova incarnazione del detective geniale? Sei più team Morck, Salim o Rose? Parliamone nei commenti o condividi questo articolo sui tuoi social per scoprire quanti amici nerd l’hanno già divorata!

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