Il mondo degli influencer sembrava la next big thing inarrestabile, la terra promessa fatta di swipe-up e pacchi regalo. Ma il 2025 sta sventolando una bandiera rossa. Tra nuove regole, qualche scivolone clamoroso e un pubblico che non si incanta più col primo unboxing, il trono dei “creators” scricchiola. E indovinate un po’? La novità (che poi non stupisce nessuno) è che adesso spuntano pure gli psicologi dedicati a loro. Sì, esistono. Benvenuti nell’industria della FOMO che chiede aiuto.
Il Declino degli Dei del Feed:
Ricordi quando “fare l’influencer” era tipo il sogno segreto (o neanche tanto segreto) della Gen Z? Beh, il gioco è cambiato, e non di poco. Le autorità, finalmente, hanno capito come funziona ‘sto circo digitale: hanno imparato a tassare, a chiedere trasparenza (ciao, #adv non nascosti bene!) e a mettere paletti legali. Anche i brand, che all’inizio navigavano a vista, adesso sanno con chi hanno a che fare, distinguono un macro da un micro influencer e non si fanno più infinocchiare facilmente. Anzi, con la crisi (soprattutto nel lusso), molti preferiscono tornare sul sicuro: via gli influencer, bentornate le star del cinema e le celebrity “vere” per le campagne. Meno rischi, più vecchia scuola che funziona.
Nel mentre, qualcosa si è rotto anche lato follower. Se prima la fiducia cresceva e tutti volevano imitare ‘sti guru digitali, ora il mood è cambiato. Ci si guarda intorno e si pensa: “Ok, ma ‘sto/a qui, di preciso, cosa sa fare?”. Se non hai una competenza specifica (cucina, tech, arte, quello che vuoi), ma sei solo “famoso per essere famoso”, la gente inizia a chiedersi il perché. E la tua relevance va un po’ a farsi benedire. Tra polemiche (ciao Chiara, ciao Matilda, ma non solo voi!) e un generale senso di “meh”, il pubblico si sta allontanando. Avete notato anche voi che al Met Gala, alla fine, si parlava più di Kim Kardashian che dell’ultimo tiktoker? Ecco.
Quando i Like Non Bastano: Serve la Terapia da Burnout
Immagina lo scenario: incertezza a mille, nuove regole astruse, brand che ti mollano, follower che ti criticano. Aggiungici che devi essere “on” H24, sorridere, performare, competere, e per farlo stai incollato al telefono una vita. È il mix perfetto per il burnout. Sì, quel brutto mostro fatto di esaurimento fisico, emotivo e mentale da stress cronico. Essere sempre sotto i riflettori e gestire hate e pressioni rende questo “mestiere” uno dei più a rischio.
E qui arriviamo alla parte “sorprendente”: nascono professionisti e piattaforme (tipo CreatorCare in USA) specializzati nel supporto psicologico per chi vive di e per i social. Parliamo di terapisti che capiscono la pressione, l’ansia da performance, la depressione che può nascere quando la tua identità si fonde con i numeri di follower. Amy Kelly, una psicologa che lavora con i creator, sottolinea pure quanto siano strane e potenzialmente dannose quelle “relazioni parasociali” – amicizie nate e cresciute solo a colpi di like e commenti, che rischiano di farti perdere il contatto con le relazioni vere.
2025: Non la Fine, Ma un Reboot?
Quindi, il 2025 sarà l’anno zero? La fine dell’era d’oro degli influencer? Forse non la fine, ma di sicuro un anno spartiacque. Mentre a livello burocratico si riconoscono (finalmente!) come lavoratori, a livello di hype e relevance sembrano perdere colpi.
Ma forse, in fondo, non è un male. Dopo la corsa folle al milione di follower e alla spunta blu, magari è arrivato il momento di frenare. Di prendersi una pausa. Di fare un reset. È l’occasione perfetta per guardarsi dentro e chiedersi: “Ma davvero voglio passare la vita così?”. Vale la pena sacrificare la salute mentale per un post sponsorizzato? Citando un grande saggio (dei meme): “Go touch some grass”.
Questa “crisi” potrebbe essere l’opportunità per ripensare il mestiere, renderlo più autentico, più sostenibile e, perché no, anche più interessante per il pubblico. Staremo a vedere chi saprà reinventarsi e chi, invece, rimarrà solo un vecchio screenshot nel feed.
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