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Cosa vuol dire “Ottobrata romana”?

C’è stato un tempo in cui l’ottobrata romana era famosa in tutto il mondo. E da tutto il mondo ad Ottobre fiumi di turisti invadevano Roma: un mese unico per il clima, la luce, gli odori. L’ottobrata era una seconda estate, le altre città avevano un’estate sola, Roma due.

Il termine “Ottobrata romana” affonda le sue radici nelle enormi feste che chiudevano la vendemmia sin dal tempo dei primi abitanti dell’Urbe. Si organizzavano gite fuori porta e non c’erano distinzioni tra nobili patrizi e plebei e si racconta che al terzo bicchiere di buon vino non si capiva più chi aveva 4 cognomi e chi faceva lo sguattero. Durante le Ottobrate ci si vestiva eccentrici, e le donne erano piene di fiori e piume.

In tempi più recenti, beh recenti…diciamo intorno al 1700/1800, era consuetudine partire di giovedì; ci si svegliava presto e si partiva con le carrettelle trainate da cavalli. Sopra c’erano sette ragazze vestite a festa. E c’era anche la bellona, seduta accanto al carrettiere. Altri uomini seguivano il carro a piedi. Arrivati fuori porta si iniziava a giocare. Si giocava a tutto: bocce, ruzzola, altalena e alberi della cuccagna; poi c’erano i canti, balli, stornelli, vino a fiumi e grandi mangiate: immancabili erano gnocchi, gallinacci, trippa e abbacchio.

Si ballava fino a tardi, soprattutto il saltarello che era suonato con tamburelle, chitarre e nacchere e accompagnato da un ritornello che recitava:

“birimbello birimbello
quant’è bono ‘sto sartarello
smòvete a destra smòvete a manca
smòvete tutto cor piede e coll’anca”.

Una delle mete più gettonate era il monte Testaccio, le campagne intorno a ponte Milvio, le vigne poste tra Monteverde e porta San Pancrazio o fuori porta San Giovanni e porta Pia. Erano veri e propri baccanali… ovvio: discendevano dalle feste dionisiache degli antichi Romani!

Giggi Zanazzo, studioso di tradizioni popolari romane, parla così delle Ottobrate romane:

“Siccome Testaccio stà vvicino a Roma l’ottobbere ce s’annava volontieri, in carozza e a piedi. Arivati llà sse magnava, se bbeveva quer vino che usciva da le grotte che zampillava, poi s’annava a bballà er sartarello o ssur prato, oppuramente su lo stazzo dell’osteria der Capannone, o sse cantava da povèti, o sse se giôcava a mora”. E racconta poi di come il ritorno a Roma fosse molto più chiassoso della partenza: “la sera s’aritornava a Roma ar sôno de le tamburelle, dde le gnàcchere e dde li canti… E ttanto se faceva a curre tra carozze e ccarettelle che succedeveno sempre disgrazzie”.

Le Ottobrate resistettero fino alla fine del governo papale, poco dopo la metà del 1800, qualcuno nei primi del Novecento ancora le faceva, oggi si sono completamente perse ma quando si parla del bel tempo a ottobre, si parla ancora dell’immortale Ottobrata romana.

di Annarita Sanna

Redazione

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