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Bingo, la nuova febbre del sabato sera

John Travolta questa volta rimarrebbe di sasso al solo ricordo della Sua febbre del sabato sera, quella che fece impazzire milioni di adolescenti in tutto il mondo pronti a scendere in pista muovendo vorticosamente le mani alla ricerca della più vaga somiglianza con il loro mito di celluloide, quel Tony Manero vestito di bianco, catena d’oro al collo e camicia sgargiante aperta sul petto villoso, pronto a far cadere nella sua trappola d’amore le ragazze della notte.

L’aria che si respira il sabato sera a Roma, a distanza di trent’anni da quelle fantasie con i pantaloni a zampa, è davvero diversa, tanto che se si volesse girare ora una febbre del sabato sera all’amatriciana, al posto del belloccio latino e delle sue girls le parti principali potrebbero andare non ad un concorrente del Grande Fratello, non ad un divo della televisione, ma probabilmente ad un trentenne bengalese e ad un manipolo di nonnette sveglie fino a tardi. Sono loro i protagonisti della vera Febbre del sabato sera: la febbre del Bingo. Se le discoteche sono aperte fino alle due di notte, le sale Bingo mostrano il loro carico di lustrini e scintillii fino alle quattro, colmi come barconi di emigranti verso Ellis Island, con le stesse speranze, aspettative, sogni e debolezze. Ma i passeggeri di questa nave non partono con la valigia di cartone, non si muovono e non lo farebbero neanche sotto tortura e, soprattutto, viaggiano con i portafogli straripanti di denaro, perché senza su questa nave è inutile perfino entrare.

Le sale Bingo a Roma sono 12, per una capienza totale di 5000 posti a sedere. Incuriosito dai racconti di un amico decido di passare il Rubicone e, un sabato sera, entro per la prima volta in una di queste prigioni dorate. Davanti  all’entrata non c’è un’anima, tanto che quasi viene la tentazione di rinunciare, tra i “ma dai, non ci sarà nessuno”, e i “forse ho sbagliato numero civico”. Un cartello però mi avverte che sono proprio nel posto giusto. Come in un ristorante a buon mercato, ecco le offerte speciali per i clienti: mercoledì cartelle a 50 centesimi (mentre il sabato il costo minimo è di 1 euro), giovedì lotteria con ricchi premi e cotillon, e infine la ciliegina sulla torta: venerdì notte, alle 2, la direzione offre cornetti caldi a tutti i presenti. Il paese dei balocchi. La tensione inizia a crescere appena scendo le scale che mi porteranno nella sala Bingo vera e propria. Sembra di entrare in un albergo di lusso, e forse capisco già uno dei segreti offerti da questo mondo: offrire un po’ di lustrini anche a chi non ha mai visto una comoda poltrona di pelle e a chi il televisore non può neanche permetterselo, figurarsi poi lo schermo al plasma da 50 pollici che campeggia al centro della parete.

 

Il primo impatto è da lasciare a bocca aperta: almeno 300 persone affollano le due sale (fumatori e non), in silenzio, con le facce tirate. I più a loro agio sembrano essere proprio i fumatori, con la sigaretta in bocca alla Humprey Bogart, orfani solo di un bicchiere di whisky e di una musica triste in sottofondo.Dopo un primo attimo di spaesamento decido di sedermi ad un tavolo: “Solo cinque minuti” mi dico, ma dopo un quarto d’ora sono ancora lì, a scherzare con i miei amici mentre i numeri scorrono veloci. “7 – 41 – 8”, scandisce la voce senza inflessione, fredda, “sessantanove, sei-nove”, l’unico rimando alle tombolate in compagnia dei nonni sordi. Per il resto continuo a guardarmi intorno, e dopo le perdite iniziali decido di comperare le cartelle “in società” con i miei amici: la serata passa in fretta, e si torna a casa con il cuore in gola, quello del “ci ero andato vicino tanto così a vincere il supermegaultra bingo d’oro. Ci torno.”.

E infatti il giorno successivo, con la scusa dell’articolo, dell’indagine sociologica e della fame nel mondo da fermare con una mia ipotetica vincita, altro giro in sala bingo. Stavolta si cambia, il locale è un ex-cinema riadattato, anche questo stracolmo di giocatori. O meglio, giocatrici.Appena arrivo adocchio subito il tavolo che fa per me, con un solo posto libero e una lunga serie di volti che parlano da sé: ci sono le vecchiette in pensione, la casalinga, la babysitter sudamericana e la commerciante in pausa. Le attrici perfette di questo film. Neanche il tempo di sedermi ed assisto al primo “numero”: una delle signore si avventa sull’inserviente perché ha sbagliato a portarle il premio, ovviamente per difetto. Arrivati i soldi mancanti, ecco che alcuni euro della vincita prendono la via della mancia (per non urtare la dea bendata), mentre molti altri si trasformano di nuovo in cartelle, di quelle “che sicuramente vincono”.

 

Inserendomi nel discorso vengo così a sapere che curiosamente le cartelle destinate a vincere sarebbero proprio le ultime ad essere vendute, a pochi istanti dell’estrazione dei numeri. “Incredibile – penso – e io che li avevo sempre comprati a caso”.

Mi lascio convincere e prendo quindi una delle cartelle “baciate dalla fortuna”. Ovviamente non vedo né una lira né un euro, eccezion fatta per i tre usciti dalla mia tasca e spesi per pagare l’investimento fallito.Il giro successivo decido allora di rimanere fermo, ma la signora al mio fianco, quella della vincita e delle “cartelle fortunate” insiste per farmi giocare, perché “non bisogna interrompere il flusso fortunato”, vale a dire il suo. “Ma no signora le pare, mi riposo un po’”. Niente da fare: mi offre una cartella e immediatamente mi chiede un’improbabile percentuale sull’ipotetica vincita. Approfitto dei sorrisi guadagnati promettendole più della metà dei miei soldi virtuali per fare quattro chiacchiere, e s
copro così che un’altra delle mie vicine arriva addirittura dall’altra parte della città (dopo aver affrontato e il cambio di tre autobus) solo perché quello è “un bingo fortunato”. “Sarà, dico io, ma qui continuo a non vincere un tubo”.

 

Passano i minuti, corrono le parole, gli sguardi gelosi tra i giocatori, e mi convinco che forse per me che non fumo e non bevo è troppo difficile comprendere anche il vizio del gioco. Basta, decido di alzarmi e andare via, e per qualche secondo sono pietrificato dal terrore di sbagliare l’augurio per una buona vittoria, temendo di incappare in qualche frase che i giocatori reputano jellata. Me la caverò, alla fine, con un semplice  sorriso a trentadue denti e un “in bocca al lupo ragazze, e arrivederci”. Sono passati mesi, e ancora non sono tornato.

Simone Toscano

Simone Toscano

A condividere l’esperienza di conduzione del format in stile televisivo, con l’obiettivo di contestualizzare al meglio il trattamento dell’evento, si potrebbe coinvolgere un anchormen molto famigliare al pubblico televisivo per contestualizzare meglio il format.
Simone Toscano, 39 anni, giornalista per il gruppo Mediaset, ha seguito come inviato alcuni dei più importanti fatti di cronaca nazionale, dal terremoto che in Abruzzo nel 2009 al naufragio della Costa Concordia. Ha al suo attivo diverse collaborazioni: in passato con «Il Foglio», la Rai e La7, attualmente - come blogger opinionista - con «Huffington Post».
È uno dei conduttori della rete all news del gruppo Mediaset, Tgcom24 e ha collaborato con Rai, La7 (Tetris) ed Mtv. Fin dalla prima puntata (2010) è uno degli inviati della trasmissione Quarto Grado (Rete4) e con i suoi reportage ha contribuito alla riapertura di alcune inchieste giudiziarie.

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