Ave Maria
piena di grazia,
renderemo giustizia:
tu non temere,
noi non abbiamo ancora finito di dire
quello che abbiamo da dire.
No, non è l’inizio di una preghiera, o meglio: non è solo quello. È un’invocazione rovesciata, riscritta a pugni chiusi e voce alta, una preghiera laica e rabbiosa che scuote, disarma, apre ferite e crea varchi. È la voce inconfondibile di Gloria Riggio, la più giovane vincitrice del campionato italiano di Poetry Slam, che torna – o forse sarebbe più giusto dire esplode – in libreria con il suo primo libro di poesie: “Ave Maria Piena di Rabbia”, edito da BeccoGiallo con le illustrazioni di Giulia Zanotto.
Ma chiamarlo solo “libro” sarebbe riduttivo. Questo testo è un manifesto, un corpo vivo, una materia pulsante che urla e sussurra. Un oggetto poetico che sembra quasi avere un battito cardiaco proprio. Non si legge: si ascolta, si sente sulla pelle. Perché i versi di Gloria Riggio non sono carezze, sono fendenti. Raccontano quello che troppo spesso viene escluso dal campo visivo, da ciò che sta in scena. Parlano della violenza che tace, del desiderio che brucia, del corpo che resiste, del silenzio che sa più di mille parole, della solitudine che accompagna anche nella folla, di una dolcezza malinconica che si insinua come nebbia sottile.
Gloria non si limita a scrivere versi: li vive. E li fa vivere. La sua poesia è incarnata, radicata nel presente eppure aperta a un altrove possibile. È la voce della rabbia che non urla per distruggere, ma per dire, per rompere il torpore, per svelare ciò che resta fuori campo. “Tu non temere, noi non abbiamo ancora finito di dire quello che abbiamo da dire” è una promessa e una minaccia, un invito e una dichiarazione di resistenza. Perché Ave Maria Piena di Rabbia non è un grido che si spegne: è un’eco che si ripete nel tempo.
Il libro si muove tra le pieghe del quotidiano, raccoglie storie vere, viscerali, dolorose e luminose. Storie di mare, madri, figlie, amori che si sono persi e voci che, miracolosamente, sono state ritrovate. Ogni poesia è una ferita che lascia intravedere la luce, una feritoia che permette di spiare un’altra realtà. E in ogni parola, si avverte quel senso di urgenza, quella necessità che solo la poesia autentica sa portare. Perché qui la poesia non è ornamento, ma resistenza, è politica del corpo, è gesto rivoluzionario.
Lo stile di Gloria Riggio è un equilibrio affilato tra oralità e scrittura. È popolare, certo, ma mai banale. È alta, ma non elitaria. È poesia fatta di carne, sangue, ossa. Una lingua che scava e lascia il segno, limpida ma tagliente, capace di farti sentire ogni sillaba sulla pelle. In queste pagine vibra l’eloquenza del silenzio, la generatività del dubbio, la possibilità di salvezza anche laddove tutto sembra perduto. Vibra la voce di chi ancora fischietta, anche se ha perso i denti. Vibra la memoria dell’infanzia, del primo taccuino di versi, quando si scriveva “la comprenzione della poesia” con la z, eppure si capiva già tutto: che la poesia è di chi ci serve.
E a chi serve oggi la poesia? Serve a chi vuole ancora interrogarsi, a chi non ha paura di guardare in faccia il dolore, a chi sceglie di non voltarsi dall’altra parte. Serve a chi riconosce nel corpo un atto politico, nella scrittura un modo di esistere e resistere. Serve a chi crede che il dissenso sia un diritto e non un fastidio da zittire. Serve a chi cerca ancora un linguaggio per dire l’indicibile, per restare umano, troppo umano, nel rumore di fondo del presente.
“Ave Maria Piena di Rabbia” è il sentimento di un luogo che vogliamo credere esista ancora nel nostro paese. È quel cigolio nel torpore che annuncia l’arrivo di qualcosa, che suggerisce un altrove possibile. È l’arte che non anestetizza, ma risveglia. È prossimità, è comunità, è parola che si fa carne, è linguaggio che abita il corpo.
Da oggi, il 16 maggio, lo trovate in tutte le librerie, pronto a mordervi, accarezzarvi, squarciarvi, amarvi. E soprattutto a dirvi che no, non abbiamo ancora finito di dire quello che abbiamo da dire.
E voi, avete mai letto un libro che vi ha fatto sentire così tanto vivi, così tanto presenti, così tanto… necessari? Raccontatecelo nei commenti o condividete questo articolo sui vostri social: la poesia ha bisogno di voci, e le voci hanno bisogno di rabbia piena d’amore.
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