Per decenni la lotta contro l’Alzheimer è sembrata una guerra di trincea: scienziati armati di farmaci tentavano disperatamente di dissolvere le famigerate placche amiloidi, quei grovigli proteici che devastano il cervello e cancellano la memoria. Ma la storia, si sa, ama gli imprevisti. E questa volta la svolta arriva dall’Italia, da un gruppo di ricercatori della Sapienza di Roma che ha deciso di cambiare prospettiva: non più combattere il danno, ma impedire che accada.
La scoperta che cambia il gioco: riscrivere le regole del DNA
Il team guidato dal professor Andrea Fuso, in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli e l’Universitat de Barcelona, ha pubblicato su Alzheimer’s & Dementia uno studio che sembra uscito da un romanzo di fantascienza biotecnologica: il destino genetico, dicono, non è inciso nella pietra. È programmabile, modulabile, riscrivibile. Il concetto chiave è epigenetica, la disciplina che studia come l’ambiente e lo stile di vita influenzano l’espressione dei geni senza alterare la sequenza del DNA. Un po’ come cambiare le impostazioni di un software senza toccarne il codice sorgente.
Gli scienziati italiani hanno scoperto un doppio meccanismo di difesa molecolare che agisce prima ancora che la malattia prenda forma. L’aumento della metilazione del DNA – una sorta di “interruttore chimico” che regola l’attività dei geni – riduce l’espressione del gene PSEN1, da sempre legato alla formazione delle placche. Allo stesso tempo, questa stessa metilazione stimola la produzione del microRNA miR-29a, una minuscola molecola che blocca l’enzima BACE1, la “cesoia” che taglia la proteina precursore in frammenti tossici. In pratica, un colpo diretto e uno indiretto alla catena di montaggio dell’Alzheimer.
È una strategia elegante, quasi da hacker biologici: anziché tentare di ripulire i detriti, si interviene sul “codice di produzione” delle placche stesse.
Il carburante della memoria: come il metabolismo alimenta la mente
Ogni processo epigenetico, tuttavia, ha bisogno di carburante. In questo caso si tratta del metabolismo one-carbon, il circuito biochimico che fornisce i “mattoncini” necessari alla metilazione.
Al centro di questo meccanismo troviamo la S-adenosilmetionina (SAM) e le vitamine del gruppo B, autentici catalizzatori di memoria. Lo studio mostra che somministrare SAM può potenziare la metilazione, aumentare i livelli di miR-29a e ridurre l’attività di BACE1. Tradotto: una semplice molecola naturale potrebbe agire come farmaco epigenetico, rallentando il decadimento cognitivo e spostando l’approccio terapeutico dall’intervento alla prevenzione.
Immaginate un futuro in cui la memoria non si protegge solo con pillole o stimolatori cerebrali, ma con un’alimentazione mirata e integratori personalizzati in base al proprio profilo genetico. È la nascita di una medicina preventiva del cervello, che parla la lingua del metabolismo.
Diagnosi dal sangue: due biomarcatori che leggono il rischio
La ricerca italiana, però, non si ferma al laboratorio. Gli studiosi della Sapienza hanno identificato due biomarcatori precoci – il pattern di metilazione del PSEN1 e la concentrazione di miR-29a nel plasma – che potrebbero rendere la diagnosi dell’Alzheimer più semplice di un test del colesterolo.
Un semplice prelievo di sangue potrebbe rivelare il rischio anni prima dei primi vuoti di memoria. Il gruppo di ricerca sta già lavorando alla creazione di biosensori portatili, strumenti capaci di intercettare i segnali epigenetici in tempo reale.
Un passo avanti verso una nuova frontiera della medicina di precisione, dove prevenzione significa “conoscere in anticipo il proprio futuro biologico”.
L’intelligenza artificiale che ascolta la mente
Se la biologia riscrive il codice del corpo, l’intelligenza artificiale comincia a decifrare quello della mente. All’Università di Boston, un team guidato da John C. Paschalidis ha sviluppato un algoritmo capace di prevedere, con l’80% di accuratezza, se una persona con lieve declino cognitivo svilupperà l’Alzheimer entro sei anni.
Il dato più sorprendente è lo strumento usato per la diagnosi: la voce. Analizzando migliaia di registrazioni provenienti dal celebre Framingham Heart Study, l’IA ha imparato a riconoscere minime variazioni nei pattern linguistici e fonetici – tremolii, esitazioni, ritmi anomali – invisibili all’orecchio umano ma rivelatori di un lento cedimento cognitivo. È come se il software riuscisse a “ascoltare” il cervello parlare, traducendo il linguaggio neuronale in segnali predittivi. Con una sensibilità dell’81%, questo sistema potrebbe presto essere integrato in app per smartphone o assistenti vocali domestici, trasformando una semplice conversazione in uno screening precoce e non invasivo.
La convergenza: scienza, tecnologia e memoria
Da una parte l’Italia, con la sua scuola di epigenetica che riprogramma il DNA; dall’altra, l’America che insegna alle macchine a leggere la mente. Due mondi che si toccano, due approcci che convergono verso un obiettivo comune: rendere l’Alzheimer una malattia prevedibile e controllabile.
Nel futuro prossimo potremmo affidarci a biosensori nel sangue per monitorare il metabolismo cerebrale e a assistenti vocali intelligenti che captano il più impercettibile inceppo nel linguaggio. Invece di affrontare un nemico invisibile quando è ormai troppo tardi, potremo convivere con un sistema di sorveglianza cognitiva personalizzata, un ecosistema di biologia e dati che protegge la nostra identità più preziosa: la memoria.
La rivoluzione della mente
L’Alzheimer è sempre stato raccontato come una lenta cancellazione dell’io, ma forse il futuro ci riserva una narrativa diversa: non più la perdita della memoria, ma la sua difesa attiva, sostenuta da epigenetica e intelligenza artificiale.
La memoria, dopotutto, non è solo un archivio di ricordi: è il codice sorgente di ciò che siamo. E oggi, per la prima volta, la scienza ci dice che quel codice può essere riscritto.











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