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Benvenuti ad Action Park, il parco dove la paura si lasciava all’ingresso (insieme alla sanità mentale)

C’è un luogo che esiste nella memoria di chi ha vissuto il New Jersey tra gli anni ’80 e ’90, una sorta di incubo adolescenziale condiviso, un test di sopravvivenza travestito da parco divertimenti. Quel luogo non era una leggenda urbana, ma un posto reale, concreto, assurdo quanto pericoloso, e si chiamava Action Park. Una delle esperienze più borderline mai concepite nel mondo del divertimento. Ed è proprio lì, tra scivoli sadici e motori truccati, che inizia il mio viaggio nel lato oscuro del divertimento.

Come blogger appassionata di parchi divertimento, ho visto e vissuto di tutto: dalle meraviglie fiabesche di Disneyland ai surreali padiglioni del Prater di Vienna. Ma nessun parco ha mai avuto l’aura mistica e terrificante di Action Park. E se oggi torno a parlarne, è perché quel luogo – oggi scomparso ma ancora vivo nei documentari e nei racconti mitici di chi l’ha vissuto – rappresenta l’apice del concetto di “divertimento fuori controllo”.

Dove la legge era un optional e la morte una possibilità concreta

Situato tra le colline del Vernon Township, nel New Jersey, Action Park ha aperto i battenti nel 1978 per volontà di Gene Mulvihill, imprenditore visionario convinto che il rischio fosse parte integrante del divertimento. Ma il suo sogno non si limitava a offrire scariche di adrenalina: voleva creare un regno dove fossero aboliti i freni (in senso sia figurato che letterale). E ci riuscì.

Diviso in tre macro aree – Alpine Center, Motorworld e Waterworld – Action Park era un Luna Park post-apocalittico, una terra di nessuno dove il pericolo era non solo previsto, ma quasi incentivato. Le testimonianze dei sopravvissuti parlano di piste di bob in cemento armato, go-kart capaci di sfiorare gli 80 km/h, e scivoli acquatici con giri della morte che sembravano progettati da un ingegnere sotto acidi. Il famigerato Cannonball Loop, ad esempio, era una sfida alle leggi della fisica: un tubo chiuso con un loop verticale che ha regalato non solo brividi, ma anche denti volanti, lividi e ossa rotte.

Le protezioni? Ridicole. Le misure di sicurezza? Una barzelletta. I dipendenti? Ragazzini di sedici anni spesso ubriachi e lasciati allo sbaraglio, a gestire centinaia di clienti con la stessa professionalità con cui un gruppo scout organizzerebbe un rave.

La cultura del rischio: quando il pericolo diventa una droga

Ciò che rende davvero Action Park un caso unico nel panorama mondiale dei parchi a tema non è solo l’altissimo numero di incidenti (si parla di centinaia di feriti e almeno sei morti accertate), ma il fatto che tutto questo fosse parte dell’attrattiva. Come raccontano i registi del documentario Class Action Park, per molti visitatori le cicatrici lasciate dalle attrazioni erano vere e proprie medaglie al valore, un marchio di sopravvissuti.

Per i ragazzini dell’epoca, Action Park era un rito di passaggio: ti lanciavi dalla Tarzan Swing nella piscina ghiacciata sottostante, affrontavi lo scivolo della morte, sopravvivevi a un tuffo nella Tidal Wave Pool soprannominata “The Grave Pool” e, se tornavi a casa intero, potevi vantartene come se avessi combattuto nella Guerra del Vietnam.

E non sto esagerando. Le risse erano all’ordine del giorno. I bagnini raccontano storie di clienti che aggredivano gli addetti all’arena degli “gladiatori” per vendetta, sfidando l’autorità come in un episodio distorto di American Gladiators. Ogni angolo del parco era una trappola potenziale. Uno degli aneddoti più assurdi riguarda la Bailey Ball, una sfera metallica pensata per rotolare giù da una collina con una persona dentro. Peccato che, durante un test, sia sfuggita al controllo finendo su una strada statale. Miracolosamente non ci furono vittime, ma il solo pensiero fa venire la pelle d’oca.

Dal sogno americano al caos totale

Gene Mulvihill non credeva nel concetto stesso di responsabilità legale. Creò persino una compagnia assicurativa fittizia per evitare multe e processi, finendo poi incriminato per frode. Il suo impero era costruito sulla sabbia, eppure resistette per ben 18 anni, fino al 1996. Il motivo? La gente amava Action Park proprio per la sua follia. In un mondo sempre più normato, quel parco era un’oasi di libertà primitiva. Dove le conseguenze facevano parte del pacchetto.

Nel documentario HBO Class Action Park (2020), volti noti come Jimmy Kimmel e Johnny Knoxville – entrambi ex visitatori – raccontano le loro esperienze in un misto di nostalgia, terrore e incredulità. “Tutti nella mia famiglia si sono fatti male almeno una volta ad Action Park”, dice Kimmel. Knoxville, famoso per le sue follie in Jackass, ha persino girato un film ispirato al parco: Action Point.

Un mito che non vuole morire

Dopo la chiusura, il sito fu trasformato in Mountain Creek Waterpark, una versione più moderna e (finalmente) sicura. Ma nel 2014, in un’operazione di puro marketing nostalgico, il nome Action Park fece un breve ritorno, campeggiando di nuovo sui cartelli per un paio d’anni. Un revival effimero, ma sufficiente per riaccendere il culto.

Oggi, Action Park è una leggenda pop. È stato raccontato in libri, serie TV in lavorazione per Hulu, e documentari che scavano a fondo nella sua storia tra risate e tragedia. È diventato un totem culturale di un’epoca in cui si cresceva anche sbagliando – o rischiando la pelle.

E forse è proprio questo che ci affascina ancora oggi: l’idea di un posto dove si poteva vivere il pericolo in prima persona, senza caschi, senza cinture, senza rete di protezione. Un parco in cui morire era una possibilità concreta… ma vivere, davvero vivere, era l’unica certezza.

E voi?

Avete mai sentito parlare di Action Park? Conoscete qualcuno che ci è stato? O magari avete visitato parchi “sregolati” simili in giro per il mondo? Raccontatemi le vostre esperienze nei commenti qui sotto e condividete questo articolo sui vostri social. Chissà, magari tra i vostri amici si nasconde un reduce con ancora qualche cicatrice da mostrare.

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