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“Acque Oscure” di Debora Parisi: un dark fantasy romantico e struggente

Ci sono romanzi che ti attirano come un sussurro nella nebbia, ti prendono per mano e ti trascinano in un mondo dove il confine tra realtà e leggenda si dissolve come fumo sull’acqua. “Acque Oscure”, breve ma denso romanzo dark fantasy firmato da Debora Parisi e impreziosito dalle illustrazioni di Marta Maggioni, è uno di quei racconti che ti entrano sottopelle, lasciandoti addosso l’odore di torba, la brezza fredda delle Highlands e il peso delle memorie taciute.

Pubblicato in edizione copertina flessibile, questo libro non è solo una storia d’amore o un viaggio fantasy: è un intreccio emozionale che scava nelle pieghe del trauma, nella riscoperta delle origini e nelle sfumature più cupe della mitologia scozzese, con una punta sorprendente di folklore veneto. Già, perché tra cavalli antropofagi, donne serpente e congreghe di cacciatori, c’è anche l’eco antica dell’anguana, creatura delle leggende dolomitiche, a ricordarci che il dolore, come la magia, non conosce confini geografici.

Scozia, 1983. Anna è una giovane donna che fugge. Fugge da un passato doloroso, dalle acque del Vajont che hanno travolto non solo un paese ma anche la sua infanzia. Si rifugia nel Regno Unito, ospite dell’amico di famiglia William — uno di quei personaggi secondari che ti restano impressi per la loro umanità ruvida e rassicurante, lo zio burbero che ti fa una ramanzina mentre ti passa il tè caldo. Ed è proprio nel pub di William, microcosmo di chiacchiere, birra e sguardi che osservano in silenzio, che Anna incontra Erik, ragazzo enigmatico originario delle isole Ebridi, dallo sguardo tempestoso e dalla presenza che sembra appartenere più alle leggende che alla quotidianità.

Ma “Acque Oscure” non si accontenta di una trama lineare. Questo romanzo è un invito a immergersi – è il caso di dirlo – in una narrazione liquida, dove il genere dark fantasy si mescola a una componente romance sorprendentemente ben calibrata. Non aspettatevi il classico cliché del “bad boy redento” e della ragazza ingenua da salvare. La relazione tra Anna ed Erik nasce in punta di piedi, cresce a ritmo lento, autentico, stratificato. Ed è proprio in questa evoluzione che la Parisi dimostra una notevole sensibilità narrativa: i ruoli si capovolgono, le fragilità emergono, e l’amore non diventa rifugio, ma terreno condiviso su cui imparare a stare in piedi, a volte anche a crollare, insieme.

Dal punto di vista strutturale, la parte fantasy vive un’alternanza un po’ irregolare — e non è una critica fine a sé stessa, quanto una constatazione di ritmo. Ci sono momenti in cui il mondo magico sembra dissolversi sullo sfondo, salvo poi riaffiorare in modo prepotente, quasi onirico, con una forza visiva che colpisce. Il finale, in particolare, lascia un pizzico di insoddisfazione per la risoluzione forse troppo affrettata di un conflitto che aveva costruito tensione e mistero. Ma anche qui, forse, sta il fascino di questa narrazione: la realtà, come il folklore, non offre sempre risposte nette. Alcune verità rimangono sospese, come l’acqua in un lago prima che la diga crolli.

E poi c’è il Vajont. Quel nome, quella tragedia reale, che aleggia come una presenza silenziosa per tutto il romanzo. È raro, rarissimo, trovare un fantasy che abbia il coraggio di confrontarsi con un evento storico tanto devastante senza cadere nel melodramma o nella retorica. Parisi riesce nell’impresa. Il trauma di Anna non è solo un espediente narrativo: è il cuore pulsante della storia. È l’acqua che toglie e restituisce, che uccide e guarisce. E proprio quando Anna si troverà a guardare in faccia il dolore rimosso, scopriremo una delle scene più toccanti di tutto il libro — intensa, viscerale, profondamente umana.

La Scozia di “Acque Oscure” non è semplice sfondo. È un personaggio a sé, vivo, mitico, intriso di storie sussurrate dai venti e nascosta tra le brume delle brughiere. Le isole Ebridi, con la loro bellezza aspra e selvaggia, diventano il palcoscenico perfetto per un racconto dove il fantastico si insinua nel quotidiano come una melodia antica. I kelpie, le serpentine, le antiche congreghe: tutto si tiene in un mosaico narrativo che sa affascinare anche chi ha il cuore ben saldo nella razionalità.

Se siete amanti delle storie che uniscono il reale e il magico, che parlano di amore senza edulcorarlo, che affrontano i traumi con rispetto e profondità, “Acque Oscure” è un titolo da non perdere. È un romanzo che si legge tutto d’un fiato, sì, ma che resta addosso molto più a lungo. Come un incantesimo pronunciato in gaelico, come una cicatrice che racconta una storia, come una voce che arriva dal fondo di un lago dimenticato.

Con “Acque Oscure”, Debora Parisi firma un piccolo gioiello di narrativa fantasy italiana, perfettamente bilanciato tra il gotico emotivo e la magia delle leggende, tra il dolore del passato e la speranza del presente. Un libro che merita di essere scoperto, discusso e ricordato.

Redazione

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